giovedì 27 marzo 2014

"Prima della tua prima Maratona il futuro non esiste..." di Laura Cotta Ramosino

@fotofhania
La prima Maratona per un runner non è solo un concetto esistenziale (per cui da quel giorno la tua vita sarà divisa in due, a.M e d.M, due ere storiche solo apparentemente indistinguibili una dall’altra) ma una specie di principio einsteiniano, nel senso che è davvero capace di piegare il tempo e di trasformarlo.
E non solo perché alcuni minuti di quelle quattro ore e mezza (per me, ma sospetto che le cose non cambino molto anche se sei un keniota che ci mette poco più di due ore o un buon runner che sta un po’ sopra le tre) possono davvero sembrare anni luce in termini di fatica e sudore.
È inevitabile che la Maratona se ne stia lì in un angolo più o meno remoto della mente di chiunque prenda un paio di scarpe e si metta a correre in un parco o su una ciclabile e poi, come abbiamo fatto io e Luisa un anno e mezzo fa, decida che è il momento di mettersi alla prova con qualche gara.
Nel mio caso (ho studiato lettere classiche) Maratona evoca anche episodi di eroico coraggio con un pugno di coraggiosi capaci di sconfiggere eserciti dieci volte più grandi, ma è anche un serissimo memento perché Fidippide, il primo a correre la distanza, con l’urgenza di avvertire i concittadini di un possibile attacco persiano, finita la corsa ha finito anche la sua vita…
Inizi, per l’appunto, con le gare da dieci chilometri e la gente comincia a chiederti “Ma quanto sei arrivata?” e vagli a spiegare che per fisico, storia sportiva e capacità, difficile che tu arrivi mai a prenderti qualche medaglia se non in qualche garetta in cui fantastiche combinazioni astrali fanno partecipare poche donne della tua categoria. Ma che tanto non importa, che per te ogni volta arrivare è un momento magico perché hai superato una sfida con te stessa…
Inizi le gare, magari ti metti finalmente alla prova con una Mezza (l’insidiosa Roma-Ostia magari…) e cominci a capire meglio che vittoria è anche solo arrivare in fondo…
E poi, magari perché hai una sorella che ha il cuore di vederci più lontano di te e il decisionismo necessario per buttare il cuore oltre l’ostacolo, ti ritrovi iscritto alla tua prima Maratona, e giustamente vuoi che non sia in un posto a caso.
È la Maratona di Roma, casa tua, sotto gli occhi (potenziali) degli amici che ancora non capiscono come fai a svegliarti tutte le domeniche come se andassi a lavorare, per fare questa cosa faticosa e sudata, e probabilmente anche il mitico 23 marzo se ne staranno a letto o solo per caso si ricorderanno di scendere in strada a vederti passare (all'ora sbagliata, perché non hanno idea di quanto ci potrai mettere a fare il percorso, ma è il pensiero che conta).
E, lo sai già, a iniziare così parti già con un vantaggio mica tanto nascosto: ci sono almeno altri ottanta ramarri in gara, qualcuno (oltre tua sorella cui speri di riuscire a stare attaccata tipo cozza il più possibile, visto che ha più fiato e più allenamento di te) sul percorso lo troverai per scambiare un incoraggiamento e magari fare un tratto insieme, e poi ci sono soprattutto i ramarri del ristoro al 35esimo, una specie di oasi nel deserto del Sahara che già sai che sarà la gara a un certo punto… E c’è quel senso del rispetto di te stessa che sai che ti sosterrà come e più degli integratori quando sbatterai contro il muro (già sai che accadrà, bisogna solo indovinare quando) e non vorrai cedere proprio in mezzo a piazza Navona in mezzo ai turisti che mangiano la pizza e il tiramisù spaparanzati sulle sedie e intanto ti urlano di continuare a correre….
Tutto questo accade mesi fa, poi inizia il vero allenamento, i lunghi effettuati in Villa sotto l’occhio attento e l’incoraggiamento di Tonino, che mai una volta mette in dubbio che ce la potrai fare. E allora cominci a crederci un po’ anche tu, anche quando corri sotto la pioggia e arranchi nel fango; e poi, nelle settimane successive, quando i lunghi li fai nelle più diverse città europee e un po’ incosciente pensi che la Porta di Brandeburgo è così scenografica che se arrivi in fondo alla prima Maratona un pensierino anche a quella di Berlino ce lo devi proprio fare…
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Ecco, a due mesi dalla prima Maratona il futuro ancora esiste, anche se vago, esistono settimane e mesi dopo il 23 di marzo, altre gare, altro lavoro, le vacanze….
E poi, a un mese dalla gara il ginocchio comincia a fare male, e lo fa in quella maniera insidiosa e traditrice, non quando corri, all'inizio, ma dopo, per cui cerchi di non sentire e non vedere e rimandi e continui a fare i lunghi anche se adesso forse devi ammettere che c’è qualcosa che non va…  Vai a trovare Francesco, ma solo quando proprio non puoi fare a meno di vedere la realtà e lì scopri che forse non sarà il tuo scarso fiato, i tuoi allenamenti non precisi al cento per cento, ma proprio quel ginocchio che non vuole collaborare a farti fallire ancora prima di iniziare.
La possibilità che la sconfitta si concretizzi prima ancora di mettersi a lottare (perché è così che la vivi, non come una sfida rimandata) ha un effetto incredibile.
Sì, perché  è lì che all'improvviso il tempo cambia assetto: in quell'ultima manciata di giorni, con il ghiaccio sintetico comprato in ogni farmacia disponibile e tamponato sul ginocchio anche durante le riunioni di lavoro con effetti esilaranti per tutti i presenti, il tutore ad ogni allenamento e gara, la piscina a sostituire qualche corsa, è allora che all'improvviso il futuro dopo le 9 del mattino del 23 di marzo scompare…
Scompare, scompare, nel senso che proprio non riesci a immaginare cosa potrà essere. Sei sicura che a seconda di come andranno le cose sarai una persona così diversa che esaminare le alternative diventa impossibile. Non vedi nulla, il giorno dopo al lavoro, le settimane successive, ma nemmeno il pomeriggio della domenica. Una lavagna bianca che attende di essere riempita solo con il sudore della fronte, l’acido lattico nelle gambe e la soddisfazione o l’insoddisfazione di quel traguardo….
È strano vivere senza il futuro, ma ti ci devi abituare e allora cominci a  contare giorni e ore, perché a quel punto tanto vale partire, e vedere se dietro la linea del 42esimo chilometro il futuro rispunta fuori. Ti ci abitui ma non tanto, e le ultime corse insieme, il documentario visto in compagnia, le ultime applicazioni di ghiaccio, ti fanno solo montare l’ansia per cui quando parti hai le gambe molli come agli esami dell’università…
Ma alle nove del mattino del 23 di marzo succede un miracolo, o un fenomeno fisico che per l’appunto solo Einstein riuscirebbe a spiegare: il tempo si rimette in moto, come il conto del mio Garmin (e pazienza che poi lui abbia deciso che al km 41 aveva lavorato abbastanza o io ci avevo messo troppo tempo e ha dato l’arrivederci, ragion per cui per il Garmin la mia prima maratona dura 41 km esatti), e comincia distendersi sui chilometri di asfalto e sampietri in una maniera inaspettata.
Da lì in poi tutto è una specie di miracolo inaspettato, non un miracolo di Lourdes, ma piuttosto il miracolo dei fiori che sbocciano a primavera sul balcone, che potevi sospettarlo, sì, ma poi è una sorpresa comunque e allora l’unica parola che ti continua a risuonare nella testa è GRAZIE!
I  chilometri vanno, la fatica c’è, ma il maledetto ginocchio collabora (grazie Francesco,  grazie Luisa che corri di fianco a me, grazie amici che correte, che supero e che mi superate, grazie all'antinfiammatorio, grazie al tutore e grazie all'imbarazzante ghiaccio sintetico delle scorse settimane) e dopo i 25, anche se so ormai che un po’ camminerò, so anche che alla Prima Maratona ci arriverò in fondo. Ogni tanto, dietro un angolo, o ai bordi della strada, spunta Chiara in sella alla bicicletta e il suo incoraggiamento mette il turbo, anche se magari il turbo dura poche centinaia di metri.
Le canzoni messe nell'Ipod si snocciolano una dopo l’altra, arriva il ristoro del 35 e  qui trenta secondi di facce amiche mi ridanno la carica e promettono che l’arrivo non è lontano. Per la testa ti passa addirittura un pensiero folle: tutto sommato avrei pensato peggio… e ricominci ad andare anche se ora è un po’ corsa e un po’ camminata (sì, anche sotto gli occhi dei tedeschi che mangiano a piazza Navona, perché è bagnato, ci sono i sampietrini e l’ultima cosa che vuoi è rovinarti tutto con una caduta a pochi chilometri dal traguardo). 
emcafoto.com

E poi arriva l’ultimo regalo di questa giornata unica, un’amica che mi insegue dal ristoro, mi ritrova e con pazienza e affetto si fa tutti gli ultimi chilometri con me (ci rivedo nei video delle telecamere su internet e mi commuovo di nuovo), chiacchierando, incoraggiando, facendo anche da coppiera al malefico ultimo ristoro nel fango e nell'ombra del traforo e poi giù su via Nazionale, finché a Piazza Venezia non la cacciano via.
Già sull'ultima discesa, complice la canzone nelle orecchie, ho cominciato a sentirmi gli occhi umidi ma agli ultimi metri io che piangere piango poco e avevo assolutamente escluso di poterlo fare qui, comincio a sentire le lacrime che scendono, e sono lacrime strane perché vengono fuori insieme a un sorriso.
Sorrido a tutti, alla signora che mi mette al collo la medaglia, a quello che mi passa la bottiglietta dell’acqua, al compagno di squadra che arriva o è appena arrivato, a quelli che trovo più avanti, e, da lontano, a quelli che stanno ancora là al km 35 e ci staranno sotto l’acqua ancora per ore.
Il futuro è arrivato, esiste, ed è bellissimo, più bello di come avrei potuto immaginare, come i fiori lavati dalla pioggia a primavera, come un’esplosione che si spande a onda e che andrà avanti per i prossimi giorni, facendomi dire continuamente “Grazie!”  come una scema…

Grazie agli amici che ci sono stati prima durante e dopo!
Grazie a questa meteo un po’ bastarda e ai sampietrini perché dopotutto queste difficoltà in più ti fanno solo pensare che in futuro potrai fare meglio e se fosse stato troppo facile la prima volta ti sarebbe rimasto il dubbio che non potevi riprovarci.
Grazie per quel tempo (4 ore e 36) un po’ così e che pure non è scontato, perché dentro di te comincia a già a pensare come fare a migliorarlo la prossima volta.
Quando hai finito la gente comincia a dirti “adesso sei una maratoneta”.
E all'improvviso ti rendi conto che tutto questo ha a che fare con la fatica e con l’acido lattico nelle gambe, ma che quell'aggettivo contiene qualcosa di veramente nuovo.
Sei una maratoneta perché adesso sai qualcosa di te stessa che non sapevi e non potevi sapere prima (e quando riguardi le foto della gara ancora ti ripeti, “ma chi lo direbbe che quella lì ce la può fare?”).  I tuoi amici, quelli che ci credevano, lo sapevano ma tu no.
E adesso invece sì.
E adesso non vedo l’ora di cominciare un altro conto alla rovescia (anzi, per la verità è già incominciato), e forse capiterà di nuovo che il futuro all'improvviso scompaia inghiottito dall'ansia e dall'imprevisto.
Sole di mezzanotte a Capo Nord
Magari non andrà sempre così bene, magari ci saranno maratone più difficili, ginocchia che proprio non vanno, imprevisti, ma so che ci proverò e ci riproverò,  come ho visto fare ad amici e amiche tenaci…

Il futuro sta ancora lì dietro l’ultima curva, devi avere il coraggio di correre fino lì…

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