martedì 1 dicembre 2015

...dal collo in su!

... e quindi, in realtà, l'allenamento non lo misuri in metri, vasche o chilometri. L'allenamento è tutto ciò che accade da, quando sei stanco a quando purtroppo, per un motivo o per l'altro, devi smettere di allenarti... e se nessuno capirà quello che ti succede quando ti alleni e quanto ti manca, quando non lo fai, allora potrai dire di essere diventato un'ATLETA!
L'Ammiraglio!

martedì 24 novembre 2015

Zero

Ricominciare da zero.
Grandi linee è questo quello che mi ha detto il coach... ebbene si, è l'ennesima nuova esperienza che ho nel mondo dell'endurance... mi sono fatto il coach, che detto così suona mica tanto bene.
Il dubbio di produrre troppo e male o magari di disperdere le mie energie nelle direzioni sbagliate, ce l'ho da tempo, dall'inizio in realtà... da quasi un anno.
Ho deciso quindi di mettermi nelle mani di una persona più competente di me, una sorta di guida che mi dica in quale direzione andare. Mi è piaciuto anche l'approccio con questa persona, poche parole e tanti fatti.
Il primo allenamento nella corsa si è trattato di un semplice 30' facili, in principio ho creduto che si trattasse di un'esagerazione a ritroso, ma poi ho deciso di fidarmi, di rimettermi completamente nelle sue mani. Come andrà non lo so, ma per il momento sono ottimista e soprattutto curioso. I risultati arriveranno, me li sento dentro.
Anche quest'anno si sta chiudendo... un anno strano, difficile e pieno di cambiamenti. E' stato un anno brutto, pieno di mancanze. Certe volte sembra come guardare le gocce d'acqua che scivolano sui vetri durante le giornate di pioggia, metti un dito per trattenere quella lacrima, ma non c'è modo di fermarla, scivolerà a destra o a sinistra per finire la sua corsa alla fine del vetro. Noi siamo così... scivoliamo via.

martedì 10 novembre 2015

#statidanimosufoglidicarta

Francesco Sole

Coccige.... Ergo Sum

Seconda caduta da "cavallo". Banale e stupida come la prima, ma purtroppo con conseguenze nefaste e decisamente più fastidiose. La prima volta che ho assaggiato l'asfalto con la bici me la sono cavata con delle semplici escoriazioni e qualche ferita sulla gamba. Questa volta sono atterrato di coccige... e posso assicurare che fa veramente male. Dopo l'impatto sono rimasto a terra per qualche secondo pensando di essermi rotto tutto, poi, lentamente, mi sono rimesso in piedi e ho ripreso a pedalare. I problemi sono cominciati la sera. Dolore... dolore... dolore. Ghiaccio, antinfiammatori e ciappett' all'aria.
La conseguenza principale di questo infortunio è la mia dipartita alla maratona di Firenze. Non sono molto dispiaciuto per questo, non avevo grandi motivazioni, se non quella di riprendere a correre sul serio fissando un obiettivo, una metà all'orizzonte. Mi mancavano però solo due lunghi e, se come si dice l'appetito vien mangiando.... io mi ero già seduto a tavola. Posso dire di aver centrato comunque il bersaglio, la voglia di correre mi è tornata e soprattutto di correre faticando, senza cercare uscite facili. Ora che il triathlon è fermo (il calendario è chiuso), posso cercare di limare qualche secondo, o minuto, sui miei tempi. Il mio stop è giunto proprio in un momento dove sentivo di stare crescendo, di aver quasi raggiunto uno stato di forma ottimale, peccato! Ora non rimane che rimboccarsi le maniche e ricominciare da dove avevo interrotto... anche se le chiappe mi fanno ancora male.
La lezione l'ho comunque imparata... è meglio rimanere in sella.
...e mettetecela 'na scritta sopra


martedì 27 ottobre 2015

"Maratona di Venezia... forse come runner devo ancora crescere.." di Laura Cotta Ramosino



Una maratona che è entrata nel programma annuale perché qualcuno (il solito Giancarlo De Lucia, già ispiratore dell’insana ma fortunata accoppiata Maratona di Roma + Maratona di Parigi a primavera) ha detto che insomma, era la maratona del trentennale, quando ricapita… Una maratona che si poteva giustificare (essendo la quarta dell’anno con Valencia a tre settimane a completare la cinquina) dicendo che la facevamo come un lungo, seria fino al 36 e poi si vede…
Una maratona a cui per motivi diversi io e Luisa siamo arrivate piuttosto stanche (lei da più di un mese sta su un set televisivo in Toscana, cosa che rende molto difficile fare allenamenti regolari, io ho problemi di insonnia) ma con la voglia di provarci e di divertirci…
Una maratona che volevamo fare un po’ in sordina e poi insomma lo sapevano tutti che ci andavamo quindi ovviamente c’erano pure le aspettative con cui fare i conti.
Per fortuna che la gita era resa più allegra dalla compagnia di tante facce note: oltre a Giancarlo, tra gli amatori Paolo, Marco, Alessandro, Massimiliano, Federico, Alberto, Piero, e altre facce scoperte lungo il percorso, Patrizia e Sandra, per finire con il presidente in persona, Sandro. Ma non soltanto loro, anche il Secco con cugino, e Roberta e il suo magico gruppo di pazzi ultramaratoneti.
Il sabato si parte abbastanza presto, si arriva in albergo e si scopre che la maratona al venticinquesimo chilometro possa a cento metri da lì e si comincia già a fantasticare di come si starà domani a quell’ora proprio lì…
Nel pomeriggio ritiro pettorali e incontri vari al Marathon Village (dove ovviamente c’ è anche l’occasione di raccogliere i volantini di altre gare interessanti in giro per l’Italia), la sera cena con carico carboidrati e diciamo che era per preoccupazioni strettamente agonistiche che mi sono subito lamentata delle dimensioni del mio piatto di pasta e che per non rischiare mi sono mangiata pure due fette di pizza fuori programma… per non parlare della crostata post cena. L’abbiamo infornata il venerdì sera, ormai è una tradizione che ci siamo sentite di condividere con il gruppo appena prima di andare a nanna.
Per una volta, la prima volta, complice anche il cambio dell’ora solare, mi sono fatta una notte di sonno abbastanza corposa (non ci speravo, con l’insonnia ansiosa il pregara non poteva che peggiorare) così la mattina dopo la sveglia alle 6 mi è sembrata quasi lussuosa. Colazione e via tutti insieme ai bus per Stra. Il punto di partenza si raggiunge abbastanza presto ed è spettacolare, lungo la riva del Brenta e davanti a Villa Pisani. L’aria è frizzantina ma non fredda, siamo indecise a lungo se tenere una maglia sotto la canotta sociale, ma alla fine decidiamo per il sì e per fortuna il tempo ci sarà favorevole, con qualche nuvola verso fine gara a tenere la temperatura su un buon livello.
Con Roberta decidiamo di partire insieme e tenere il ritmo di 5 30” che io e Luisa ci siamo date come obiettivo per la maratona, quella vera, ci diciamo, quella di Valencia…  l’importante è tenerlo fino al km 36 (sarà il nostro lunghissimo) e poi si vedrà…
Cosa si diceva dei buoni propositi? Che ne è lastricata la strada dell’inferno… E così io e Luisa, quando finalmente arriva il momento di superare la linea di partenza (ricordatevi questo momento, perchè più avanti avrà una certa importanza…) scattiamo subito con qualche sorpasso un po’ azzardato e nel giro di un chilometro ci perdiamo Roberta nella folla che all’inizio è piuttosto folta.
E ovviamente nonostante tutte le raccomandazioni reciproche iniziamo subito a inanellare una serie di chilometri ben sotto la media prefissata, anche se, ci diciamo, visto che il chilometraggio ufficiale è un po’ più stretto del nostro, forse va bene anche così. Per quasi venti chilometri si procede così, attraverso paesini molto amichevoli, pieni di bande, sbandieratori e gente che saluta allegra anche se gli ingombriamo la strada principale. Oggi siamo vestite quasi uguali e così il saluto alle gemelle ci raggiunge più spesso del solito. La strada è incredibile, il passaggio, visto la mattina dal finestrino del bus, ci si ripresenta ora in tutta la sua bellezza a una velocità adatta ad apprezzare ville, giardini, chiesette e rive boscose, nel fiume nuotano anche i cigni e il clima bucolico incoraggia alla chiacchiera.
Roberta, con una determinazione incredibile, ci insegue per quasi venti chilometri e ci raggiunge poco prima della mezza maratona. Insieme ci facciamo i successivi dieci chilometri alternativamente tirandoci e frenandoci per mantenere il ritmo prefissato quando la fatica inizia a farsi sentire e qualche volta la reazione è accelerare invece di tenere come suggerisce la testa.
A complicare le cose ci sono un paio di ponti e di salite, niente di drammatico, ma le gambe abituate al lungo piatto della riva del Brenta le sentono comunque e dopo i 30 portati a termine nel tempo previsto lasciamo di nuovo indietro Roberta e ci incamminiamo nei dieci chilometri più duri, quelli da fare “con la testa” e che comprendono quasi cinque di ponte attraverso il mare verso Venezia. Qui la fatica si fa veramente sentire, soprattutto per Luisa che paga gli allenamenti fatti a metà nell’ultimo mese. Cerchiamo comunque di stare insieme abbassando un po’ il ritmo, ma cercando di non mollare. Io al 32 km riesco pure a far spegnere il garmin per pochi secondi (segnamoci anche questo, fidatevi, che avrà la sua importanza…) così il conteggio riparte da zero per fortuna su una cifra molto chiara, da lì in poi sarà come fare una gara da dieci un po’ particolare…
E alla fine la riva di Venezia arriva al km 37 (ma a questo punto tra il nostro conteggio e quello ufficiale ci sono quattrocento metri di differenza e bisogna tenerne conto in vista del tempo finale) anche  se è ancora la periferia dove partono i traghetti, non propriamente affascinante.
Qui Luisa comincia davvero a faticare, le forze sono allo stremo e allora decidiamo di concederci qualche metro di camminata a ogni chilometro completato. Riusciamo in questo modo comunque a tenerci entro i 6 minuti a chilometro e a me, anche se ho un po’ di energia in più, non dispiace restare con lei per farla ripartire, come tante altre volte lei ha fatto con me in altre gare.  Poi, superato il 39°, è Luisa a dirmi di andare e io cerco di rimettermi al ritmo che  a sorpresa c’è.
Il percorso aiuta, sono iniziati i mitici e famigerati 14 ponti da superare, ma sarà l’esaltazione degli ultimi chilometri, o gli infiniti allenamenti sulla ciclabile con i 600 metri di salita di Monte Ciocci di “riscaldamento” (che sono diventati un oggetto di infinito umorismo nel nostro gruppetto di allenamento del mattino), io me li bevo superando un mucchio di gente che cammina (ne ho vista tanta tanta a questa maratona, anche tra persone che evidentemente puntavano a un risultato sotto le quattro ore, segno che forse questa gara è più ingannevole del previsto), fino ad arrivare al famoso ponte di barche che dopo punta Dogana attraversa il canal Grande e ci porta a Piazza San Marco, già oltre il quarantesimo chilometro.
Lì il percorso fa fare un piccolo biscotto, che in realtà è una bellissima passeggiata di fronte alla basilica, così posso verificare che Luisa continua a non mollare e in realtà non sta molto dietro di me.
Al quarantunesimo mi supera Sandro, lanciatissimo, non so nemmeno se senta le mie grida di incoraggiamento, e io decido che allora posso tirare un po’ anch’io e all’ultimo chilometro ce la metto tutta, supero ancora parecchia gente e alla discesa dall’ultimo ponte con meno di 200 metri davanti mi concedo anche un bell’allungo… il PB, sono sicura c’è… il cronometro generale dice 4 00’ 33” ma io sono partita ben dopo lo sparo dei Top Runner…
E dopo una quarantina di secondi ecco arrivare Luisa, anche lei, seppure di pochi secondi, sotto il suo tempo di San Pietroburgo, e visto il periodo è una gran bella soddisfazione…
E allora, tutto bene no? Non proprio perché quando curiosa vado a verificare il real time, arriva la sorpresa. Mentre tutti quanti, amici e compagni di squadra, hanno il loro bel tempo segnato correttamente il sito di TDS si ostina considerare il mio real time uguale al tempo di arrivo.
Improvvisamente è come se tutta la soddisfazione e la fatica che l’ha preceduta si trasformassero in rabbia. Mi sento defraudata (ed è pure la seconda volta, a San Pietroburgo il real time non c’era e quella volta mi avevano fregato 50 secondi, ma l’organizzazione lì, diciamolo, è molto più alla buona, senza nemmeno gli intermedi) e qualcosa mi monta dentro.
Sarà che è un periodo della mia vita in cui mi sembra che da nessuna parte io e le cose veniamo giudicati equamente, mentre la corsa è sempre stato per me il luogo dove nonostante tutto, invece, potevo misurarmi davvero con quello che valevo, dove la fatica e il sudore pagavano. Un posto, del cuore e della mente, dove una giustizia per quanto parziale esisteva. ..sarà…
Probabilmente, anzi sicuramente, è sbagliato caricare uno sport (o qualunque altra cosa nella vita) così tanto, quando forse bisognerebbe cercare di farsi valere un po’ di più dove serve.
E di sicuro, anche se domani farò la mia telefonatina a TDS per cercare di ottenere la correzione (e passare, magari, da 83° di categoria a un paio di posizioni prima, capirai…), questa reazione così esagerata (e che ancora adesso che scrivo un po' permane) mi ha insegnato quanto ancora ho da imparare come runner e anche un po’ come persona.
Quanto ancora deve passare perché io non faccia dipendere da una misurazione esterna (sia il giudizio degli altri o quello di un chip che non funziona come deve) il senso di quello che valgo e il giudizio di quello che sono capace di fare. Che è poi l’unico modo per godermi fino in fondo un’impresa come questa (tra prima e settima maratona nel giro di un anno e mezzo ho guadagnato quaranta minuti e mi sento di poter migliorare) e anche quelle che verranno, godendomele fino in fondo e non buttando via gli attimi, tanti, di bellezza e soddisfazione per due numeretti che non corrispondono.
Ma anche di saper affrontare quelle che riusciranno meno bene o non riusciranno affatto senza farmi abbattere e anzi ricavando dalle sconfitte o dalle vittorie a metà la forza per rimettermi in gioco.
Insomma, come runner ancora devo crescere (magari non di peso, che è meglio), ma questa tutto sommato non è una brutta notizia a 41 anni… vuol dire che sono ancora un po' bambina. 



P.S. La sera stessa della maratona, in pieno spirito battagliero ho scritto una mail a TDS chiedendo la verifica e la modifica del tempo, pronta a ingaggiare una battaglia senza quartiere a suon di telefonate di protesta ripetute…  E la mattina dopo mi hanno risposto, nel giro di 12 ore, gentilissimi e con la correzione già in corso. 3 h 57’ 08” alla fine…
Una tempesta in un bicchier d’acqua. Mi sa che devo proprio imparare la pazienza.

lunedì 26 ottobre 2015

Pettorale 140




Il mio primo appuntamento con il triathlon si svolse a Capodimonte. Ero completamente sprovvisto di ogni nozione su questo sport. Ricordo che cominciai a preparare il materiale per la gara il venerdì precedente. Sono passati quattro mesi da quel mio esordio, non ho fatto molta esperienza, ma qualcosa in più la so e per questo riesco a prepararmi il giorno stesso della gara, riuscendo a non dimenticare nulla. Anche la sveglia è cambiata radicalmente, meno traumatica. Quello che non è cambiato è il viaggio. Una o due ore di macchina ci vogliono sempre per raggiungere la tappa tanto desiderata e agognata.
Roma - Sabaudia, s.p. 148 "Pontina", 100 km ca., un'ora e mezza da passare su questa brulla lingua d'asfalto. Il viaggio mi piace sempre. Musica a cannone, telefonate agli amici e una sana strizza pre-gara. Il mio borsone nero a fianco e la bici parcheggiata nel portabagagli. Tutto come da copione.
Sabaudia appunto. Ultima tappa della mia prima stagione nel triathlon e per non farmi mancare nulla... arrivo in ritardo. Per fortuna Gigi e Bruna sono ad aspettarmi in piazza, con il mio pettorale e il mio ben fornito pacco gara (una bottiglietta d'acqua e una crostatina alla marmellata).
Ore 11.45... la zona cambio ha già aperto da una quindicina di minuti, insieme agli altri ragazzi della Podistica decidiamo di raggiungere la litoranea, dove si svolgerà una buona parte della gara.
La zona cambio ai miei occhi si presenta decisamente "povera".
Due file parallele di tubi innocenti, con appollaiate una sfilza di biciclette che ricordano le galline di un pollaio stipate all'inverosimile. Tra le due colonne uno spazio striminzito dove gli atleti passano a traffico alternato. Posata la bici e le scarpe, dopo un bagno di vasellina, indosso la muta e mi dirigo verso il mare.
Una decina di metri di dislivello tra sede stradale e spiaggia, da coprire in sessanta scalini di legno.

Il mare è semplicemente perfetto, un leggero movimento a ricordare che è vivo, con quella piccola onda che si alza a pochi metri dalla riva per poi infrangersi su un muro invisibile, e poi ancora... e ancora. La maga circe alla nostra sinistra osserva, sorniona, con il suo occhio vigile e la sua bocca spalancata. Siamo meno atleti rispetto a Ostia, ma conta poco. Uno degli organizzatori ci spiega il percorso e ci informa che in acqua ci sono molte meduse.
Poi il via...
Alla terza uscita posso dire di non avere più paura dell'acqua, anzi, ad un certo punto mi sono ritrovato a gustarmi il fondale, incuriosito dal fatto di riuscire a vedere il fondo e poi... eccola lì, questa macchia azzurra e bianca con i tentacoli, una medusa. "Merda!!". L'unica cosa che sono riuscito a pensare. Nell'uscita dai primi 750 metri a nuoto, in quel breve tratto di spiaggia prima di ributtarsi in acqua, il pensiero è sempre lo stesso "solo altri 750 e poi è fatta".
Il nuoto è davvero il mio punto debole, quindi mi illudo che finita la frazione in mare, il resto sia in discesa... ovviamente non è così. Dentro l'acqua studio e ripasso... angolo del gomito, ingresso della mano, dita chiuse, ma poi la realtà è un'altra... più simile a una rissa da bar. Gomitate, calci, culi da oltrepassare... di nuoto nelle retrovie c'è veramente poco.
Il numero dei "fantasmi" in acqua aumenta tra la prima e la seconda boa, tante meduse a pochi centimetri dalle nostre bracciate, laggiù nel fondo del mare.
Quando entro in zona cambio la prima cosa che noto è il numero delle bici, mi rendo conto di essere in mezzo al gruppo. La fila di destra è quasi vuota, quella di sinistra è quasi piena. Mi rode abbastanza, speravo di essere andato meglio. Parolacce a non finire mi passano nella testa. Salgo in sella e dopo qualche attimo di freddo, comincio a pedalare, cercando di non strafare. Mi si affianca un ragazzo della Minerva e mi chiede collaborazione per rientrare su un gruppetto davanti a noi di cento metri. Duro circa tre minuti, dopo di che scoppio e mi rimetto alla mia andatura e lui se ne va. Resto in attesa di un gruppo più cospicuo che mi faccia da traino. All'inizio mi accontento di rimanere a ruota a due ciclisti con un passo decisamente migliore del mio, fino a che un gruppone ci avvolge tutti e tre spingendoci ad un'andatura decisamente più forte. Siamo in tutto una ventina. A differenza delle altre volte sento che le gambe non vanno, vorrei dire semplicemente "chissenefrega" e mollare tutto, girare i tacchi e tornarmene a casa, l'unica cosa che riesco a fare è bere con avidità i sali dentro la borraccia, nella speranza che mi diano una sferzata di energia. Nei momenti di crisi esistono solo pensieri negativi, poi ne esci fuori così... quasi per caso, la "macchina" riprende ad andare senza una segnale particolare, solo per sopravvivere.
Uno nella pancia del gruppo urla i tempi per assemblare una "catena". Ognuno ci mette del suo, si creano due file... a destra si sale e a sinistra si scende. Non c'è una perfetta intesa, ma riusciamo comunque a procedere a una buona velocità. Il percorso in bici è tipico da triathlon, un rettilineo, due boe e un continuo andirivieni, dove riesci a capire quanto perdi o quanto guadagni rispetto al gruppo che ti precede.
Ogni tanto con lo sguardo incrocio Rogerio sul versante opposto della strada, è la punta di diamante della squadra, procede solo e mi chiedo come faccia.
A duecento metri dalla fine della frazione bike, sfiliamo tutti le scarpe e ci apprestiamo a scendere dalla sella. In zona cambio non sono mai rapido, sono ancora molto inesperto. Alla fine esco, con le scarpe da running ai piedi, ultimo del mio gruppo. Poco importa, nella corsa posso anche andare da solo, so quello che devo fare.
Prima di entrare nel circuito dei quattro giri, passiamo sopra il ponte di ferro di Sabaudia. Il lato, il monte... Sabaudia è davvero bella.
Il caldo e il sole alto nel cielo si fanno sentire. Riesco a chiudere i primi tre giri ad una discreta andatura, nonostante i continui cambi di direzione e gli strappi in salita non siano il mio massimo.
Nell'ultimo giro cedo alla crisi. La milza sembra voglia uscire fuori dal fianco, il sale sulla faccia sembra uno strato di creta e le gambe accorciano autonomamente la falcata. Davanti vedo un altro ragazzo della Podistica e non faccio altro che seguirlo, anche se il suo passo è migliore del mio. Il "budello" della frazione di corsa è per me devastante da un punto di vista mentale, è un continuo vedere e rivedere le stesse facce stravolte dalla fatica, sembra di essere dentro la metro "Spagna" di Roma... in testa speri solo che tutto finisca il prima possibile.   Alla fine passo sotto l'arco d'arrivo con 2h 23', mentre lo speaker annuncia il mio nome e il mio pettorale... 140 (14+0=14). Ho migliorato un minuto dalla prima uscita, ma non è questo quello che conta....
Al termine della gara, come Alice nel paese delle meraviglie che insegue il coniglio, sono fuggito di corsa a casa, con un po' di amaro in bocca... per non aver salutato tutti i compagni di squadra che con me hanno condiviso questa fatica. Alla terza gara comincio a sentirmi parte della squadra e peccato se non è arrivato il premio per il numero di partecipanti.
E' stata una gara bella, anche se piena di lacune da parte dell'organizzazione, ma il contesto... è soprattutto noi eravamo uno spettacolo da vedere.
Ora posso dedicarmi alla maratona di Firenze.... e il triathlon già mi manca.
Al prossimo anno!

lunedì 19 ottobre 2015

Shit Happens

"La merda capita!". Lo diceva anche Gump... Forrest Gump.
Nonostante l'andatura blanda, quella curva stretta a sinistra, con l'asfalto bagnato dall'umidità, mi ha fatto volare a terra in un lampo. La mia prima caduta. All'inizio credevo di essermi fatto male. Senso di vomito e uno stato di agitazione generale, con fitte di dolore lungo tutta la gamba. 
Poi... facendo la spunta dei danni, mi sono reso conto di essere stato fortunato. Un fianco ammaccato con parecchi graffi, un paio di buchi sugli indumenti e qualche livido sulla bici... tutta roba che si racconta. La prima cosa che ho pensato, risalendo in bici, è stata "porca vacca niente Swim Rome Event", non per il dolore o per chissà quale motivo, ma immergermi dentro all'acqua putrida del laghetto dell'Eur con delle ferite fresche di bucato, non mi sembrava proprio il caso. Neanche per la famosa e ambita famiglia Ironman. E pensare poi, che, durante la mattinata con Chiara, Marco e altri, insieme a degli allenatori della ProBike, avevamo fatto un lavoro tecnico su come impostare le curve. Sarò sicuramente rimandato a settembre. 
Il giorno dopo i dolori erano più marcati e diffusi, e le ferite più ingombranti. Nonostante questo, ho dovuto comunque portare avanti il lavoro in vista della maratona di Firenze. 
Programma del giorno 26 km cercando di rimanere sotto i 5'. 
E' un periodo dove sento che la condizione fisica sta crescendo, soprattutto nella corsa. Aver ripreso ad allenarmi con regolarità, inserendo qualche lavoro tecnico, mi ha restituito la cosa più importante dello sport e della corsa... il divertimento.
L'uscita con Francesco, Marco e altri amici, mi è stato sicuramente d'aiuto. Un lungo in compagnia è decisamente meno tedioso di un'uscita in solitaria. Ho chiuso a 4'59" di media. Obiettivo centrato, anche se per pochissimo, grazie agli ultimi 4 km corsi intorno ai 4'20... avrei potuto spingere di più nei chilomentri precedenti, ma non ho voluto condizionare la corsa degli altri. 
Le gambe e la testa lavorano bene... il cuore lo testiamo in settimana.
Per la prima volta dall'inizio della mia preparazione, chiudo la settimana con meno strada percorsa, rispetto a quella precedente. Questo non va bene. Ora dovrò recuperare i chilometri persi. Firenze si avvicina.
Sabato ho l'ultimo appuntamento stagionale con il triathlon, un olimpico a Sabaudia, dopo di che fino alla fine di novembre solo corsa. 
Nel frattempo mi lecco le ferite...  dentro e fuori.

p.s. un po' di strizza rimane

mercoledì 14 ottobre 2015

Granfondo Campagnolo



La mia prima gara da ciclista inizia in un modo particolare, pastasciutta alle ore 04:15. Non è l'unica situazione nuova che devo affrontare in questa giornata strana. Mi alzo non al massimo della forma, i 24 chilometri di corsa del giorno prima, sotto una pioggia battente, hanno lasciato il segno... mal di gola e tosse e uno stato generale di influenza latente. Dopo la pasta butto giù una tachipirina da 500 e comincio a prepararmi. 
Salopette, manicotti, maglia della gara (misura completamente sballata), e tutto l'occorrente. Nel vestirmi commetto quello che, nel corso della gara, si rivelerà l'errore più grande... decido di non indossare la maglia a mezze maniche termica. In fondo la domenica precedente ne avevo fatto a meno e non ne avevo risentito. 
L'Appuntamento con gli altri è alle 06:15 a piazza Pio XI. 
Fuori è buio e c'è un discreto vento. Fa freddo. Un edicolante mi vede passare e mi guarda come se fossi matto. Qui è là incrocio ciclisti... tutti abbiamo la stessa meta.
Andrea e Fulvio sono già sul posto. Saluti di rito e insieme ci dirigiamo verso il Colosseo, da dove partirà la Granfondo Campagnolo di Roma. 
Man mano che ci avviciniamo al luogo di ritrovo, il numero delle bici cresce a dismisura. I monumenti in penombra regalano un panorama davvero suggestivo. In lontananza il sole sorge. 
La partenza di una Granfondo è simile a quella di una maratona, confusione, cazzeggio, dialetti e lingue straniere. Magliette colorate e tante diversità. 
Lo speaker blatera qualcosa che non capisco e in men che non si dica, come un treno a vapore, questo carrozzone si mette in moto. I primi minuti e chilometri passano quasi tutti fuori sella, facendo attenzione a non cadere tra le brusche fermate e le ripartenze, un piede penzoloni e uno attaccato ai pedali. Un giro intorno alla zona di partenza per fare un po' di coreografia fino a che, ripassando nuovamente su via dei Fori Imperiali, si comincia a pedalare da vero. 
In testa ho  i consigli del Doc..."pedala agile la prima ora", metto il 34 (corona più piccola) e vado via in un comodo "frullinare" di gambe.
Siamo in tre e cominciamo questa avventura. Lasciatoci alle spalle il G.R.A., la strada si mette subito in salita. Come sempre Andrea e Fulvio, hanno una partenza più brillante della mia. Io sono più lento a carburare e poi non mi sento affatto bene. Il naso completamente chiuso mi rende la respirazione affannosa. Sembro una carpa con il muso fuori dall'acqua alla ricerca di ossigeno. Lasciamo l'Appia per entrare prepotentemente in zona Castelli Romani. Il gruppone si sgretola subito complici un paio di ambulanze che urlano prepotenti di fargli strada... purtroppo lungo il percorso della gara i mezzi di soccorso avranno un gran da fare. 
Costeggiando il lago di Albano confesso ad Andrea che intendo rientrare a Roma con lui (60 km del percorso Imperiale), mi sento la febbre e chiudere i 120 km mi sembra impossibile. Da quel momento comincia la salita vera e i primi riscontri cronometrici. Quando la strada sale non amo salire sui pedali, preferisco mettermi del mio passo, seduto sulla sella e vedere dove riesco ad arrivare e spesso la mia tattica funziona. Come nella corsa, se sono più i concorrenti che superi rispetto a quelli che ti sorpassano, significa che stai andando bene. In cima a Castel Gandolfo ci salutiamo, Andrea riprende la strada per Roma e io e Fulvio continuiamo nella Granfondo, un moto d'orgoglio mi spinge ad andare avanti.
La strada per finire la gara è ancora tantissima e le pendenze più dure devono ancora arrivare.
Il ciclismo è strano! Ti regala dei momenti di sconforto puro, dove vorresti ritornare a casa  e non saperne più niente, alternati ad attimi di pura euforia. Io posso dire di essere stato fortunato. I momenti bui li ho vissuti tutti in discesa, con il freddo che mi ha abbracciato fino a dentro le ossa, per poi godere della sofferenza e della "calura" della salita. 
La gara prosegue principalmente con l'avantreno rivolto verso l'alto, qualche discesa e qualche falsopiano per rifiatare, fino alla prima dura prova... il "murus" di Rocca di Papa. Uno strappo secco con un tornante a destra al 16% di pendenza massima, roba da stirare le gambe per un novizio come me, ma nonostante tutto stringo i denti.... e vado su. Accanto vedo gente mettere il piede a terra, li capisco, ma in cuor mio mi dico che il piede giù non lo metterò mai! 
Scavvalata la prima montagna mi fermo qualche minuto al ristoro in attesa di Fulvio, ma sentendo il freddo aumentare e il sudore asciugarmisi addosso, decido di riprendere la via. Il tratto in discesa che ci porterà fino ai Pratoni del Vivaro sarà per me il momento più duro di tutta la gara. Un vero è proprio gelo... dentro e fuori.
Nei tratti in lieve discesa che mi portano verso la Tuscolana mi appiccico alle spalle di un russo con due polpacci grossi come meloni, un'andatura spaventosa la sua, fatico anche a stare a ruota, ma non ci penso proprio a mollare rischiando di perdere il vantaggio di questo "scudo umano" contro le raffiche di vento. 
A metà del percorso, con un folto gruppo di ciclisti, arriviamo alle ultime due vere fatiche della giornata. La salita di Rocca Priora, lunga 6 km con un dislivello finale al 13% (mi ha ricordato molto la salita della mezza maratona dei 3 Comuni) e il "Rostrum" di Montecomprati, una serie di tornanti con un tratto finale sui sampietrini al 18% dove nel momento di massimo sforzo ho pensato veramente di non farcela. 
Il secondo ristoro nella piazza di Montecompatri, dopo le ultime due salite, mi ha dato come l'impressione di una cessata ostilità, escluso qualche sali e scendi, il resto del tragitto in discesa, con il sole alle spalle è stato quasi una passerella verso l'arrivo. 
Cinque ore di bicicletta, con tutte le sensazioni, gli alti e i bassi, sono difficili da raccontare. I centinaia di flashback che la mente registra, vanno via insieme alla fatica nei muscoli delle gambe e delle braccia. 
Non si tratta di una vera e propria gara, è più simile a una sfida con la natura e con se stessi. Il ciclismo è vera solitudine, ci sono dei momenti in salita dove il silenzio è irreale, nonostante accanto a te ci siano decine di persone con la tua stessa sofferenza, nessuno può darti una mano. E il bello è farcela da soli.
Voltare pagina mi ha fatto bene....  


martedì 6 ottobre 2015

Scatole rotte

"Allenati! Allenati! Allenati!". 
In ordine sparso, ma lasciando traccia. 
Questo è un po' quello che mi continua a sussurrare nella mia testa, il mio personale grillo parlante. Per arrivare dove?! Mi domando io! E continuo ad allenarmi...

CONFUSIONE

...questa è la parola giusta, quella che riesce a delineare tutto il mio modus operandi, tutto il mio metodo di allenamento.
Non ho tabelle... non ho allenatori... e probabilmente sto facendo una mole di lavoro inutile. Almeno mi diverto e quindi continuo ad allenarmi...
Domenica scorsa, in compagnia di Andrea e del "presidente", mi sono sparato un centinaio di chilometri, con tanta salita a fare da contorno. A una settimana di distanza dalla Granfondo Campagnolo avevo l'esigenza di conoscere il percorso e le sue insidie. 
In questo mio cammino d'aspirante triatleta (triathleta... ma come si scrive?!), non faccio altro che prendere una disciplina, metterla al centro del mio mondo e trascurare più o meno le altre. Al momento il nuoto paga dazio, la corsa sta ritornando in auge. 
Nel frattempo, i pensieri di tutti quelli che "stai esagerando", "forse dovresti riposarti", "alla fine scoppi", "etc. etc.", mi hanno rotto le palle. 

"Ci sono molti modi di andare avanti, ma solo un modo di stare fermo"

 

lunedì 28 settembre 2015

Pettorale 194

Foto by Paolo Chessa


E’ un mio limite. La tavola, con le sue tentazioni, mi induce sempre a commettere peccato.
Nella mia vita sportiva il grande dubbio è, e rimarrà sempre, “quanto avrei migliorato le mie prestazioni con una sana alimentazione??!”. Non avrò mai una risposta a questo quesito, ma riuscirò a sopravvivere. Sono semplicemente un romano medio, a noi ce piace magnà… c’è  poco da fare.
L’arrivo dei parenti di mia moglie è quindi coinciso irrimediabilmente con una puntatina al ristorante di sabato sera. Poco importa che fosse vigilia di gara, non si può mangiare fuori casa senza accompagnare un lauto pasto con un buon bicchiere di vino… anzi due. Non dico di essere andato a dormire ciucco però, con grande probabilità, non avrei superato il test dell’etilometro, fortunatamente per me ero a soli due passi da casa.
La mattina seguente, svegliarsi è stato meno difficile di quanto pensassi, ormai il mio orologio biologico è puntato alle 06.20, i piedi di mia figlia Isabella incastrati sulle mie vertebre, hanno reso ancora più semplice la levataccia.
Sono un vero neofita del Triathlon, a tal punto che non so regolarmi neanche sull’orario giusto per arrivare in zona gara. La partenza prevista per le ore 13.30, mi concede il lusso di preparare tutto il bagaglio la mattina stessa. Presa la lista delle attrezzature ho cominciato a spuntare:

  • Muta
  • Body
  • Vasellina
  • Scarpe bici
  • Scarpe corsa
  • Etc. etc.

Chiusa la zip del borsone ho salutato la mia famiglia, con l’unico rammarico di non avere mia moglie al fianco.
Il viaggio è passato in fretta, Ostia è a soli 30 minuti di macchina. La zona gara ai miei occhi si presenta ancora un po’ scarna, i bagni di folla sono da gara podistica, il triathlon presenta meno atleti e meno accompagnatori. Lo speaker si da comunque un gran da fare per rendere l’aria festosa. Raggiungo l’inconfondibile gazebo arancione della Podistica e Solidarietà e saluto due monumenti della società... Gigi e Bruna. Siamo ancora in pochi.
Con il passare dei minuti il numero di atleti che girano tra stand e gazebi va via aumentando. Anche il caldo.
Dopo lo sprint di Capodimonte (mio esordio assoluto nel triathlon) rivedo Alessandro e Antonio, con loro ho un po’ più di confidenza e facciamo automaticamente gruppo.
Verso le 12.00 decidiamo di portare le biciclette (trovo la mia con una ruota a terra, per fortuna c’è un servizio di riparazione) e il resto delle attrezzature in zona cambio per poi andare a vedere le condizioni del mare. I giudici di gara visti i 21° dell’acqua rendono facoltativo l’uso della muta. Mare calmo e acqua della temperatura ideale. L’occhio cade sulle grandi boe gialle che, come sempre, mi sembrano lontanissime. Due giri. “Riuscirò a fare due giri?!”.
Il tempo passa e comincia il briefing e la spunta degli atleti… ormai ci siamo. Il mare nel frattempo comincia a muoversi e qualche onda in uscita rende più complicata la nuotata.
Penso a Chiara e Marco all’Elbaman, forse un giorno anche io…
Il conto alla rovescia e il fischio iniziale rompe ogni indugio. I primi metri vengono per lo più coperti correndo, fino alle prime bracciate c’è un discreto ordine, come si comincia a nuotare inizia la ressa.
Spesso mi hanno detto che in gara non si prova nulla, ma nonostante questo, commetto l’errore di utilizzare la muta per la prima volta, e la cosa mi da un gran fastidio. Dopo 200 metri mi fermo, ho i polmoni compressi e non riesco a respirare, penso addirittura al ritiro, ma poi mi guardo introno e penso che non posso tornare a casa dopo 200  metri. Prendo il collo della muta, lo spalanco e vado giù sott’acqua, sento il mare entrare dentro e questa prigione di neoprene aprirsi. Quando riemergo sono dietro, ma non demordo e riprendo a mulinare le braccia. In fondo lo so fare. L’unica cosa che vedo sono le mie mani. Non sono un grande nuotatore. Riemergo dall’acqua alla fine del primo giro con parecchia gente davanti. L’inizio della seconda frazione è anche più complicato, il moto ondoso si è fatto più forte e respirare tra un’onda e l’altra diventa complicato. La mia nuotata è decisamente più sciolta, c’è meno bagarre e cerco anche di curare lo stile, penso a Giulia che mi dice di nuotare portando le braccia all’esterno per prendere più acqua… lei si che è una campionessa.
L’uscita dell’acqua è rapida, anche se lungo i corridoi dello stabilimento balneare che ci ospita il rischio di scivolare è alto. In zona cambio sono sempre molto lento, ho paura di incappare in qualche penalità  o addirittura di essere squalificato.
Il primo dei quattro giri della frazione in bici ce lo siamo “sparati” sono una fitta pioggia. Tra un integratore e l’altro mi ritrovo nella pancia di un gruppo di almeno venti ciclisti ad una media di 40 km/h. Il ritmo è davvero buono e c’è un’ottima collaborazione in testa. Io mi metto a ruota, non ho ancora una gamba che possa permettermi di tirare a queste velocità. Qui e là qualche caduta, per fortuna nessuna conseguenza grave. Vedo pochissimo a causa dell’acqua alzata dalla ruota posteriore del tipo davanti a me. Uno strano rumore sull’avantreno della bicicletta attira la mia attenzione, ma non riesco a capire subito quale sia il problema, fino all’inizio dell’ultimo giro, dove mi accorgo che un portaborracce si sta staccando e vibra fortemente sul telaio. Commetto un altro errore… provo a stringere con le dita la vite di sostegno per non perderlo per strada, ma proprio in quel momento il gruppo aumenta l’andatura e io mi trovo staccato di una decina di metri e non riesco più a rientrare. Nella bici quando ti stacchi sei fregato, si abbassa la velocità e aumenta la fatica. Copro gli ultimi 8 chilometri spingendo al massimo, ma perdo comunque  terreno a vista d’occhio. Comincio a sentire un po' freddo, ma cerco di non pensarci. Rientro in zona cambio in solitaria, copro scalzo quei pochi metri che mi dividono dalla mia piazzola,  infilo le scarpe da ginnastica, sempre con molta calma e poi scappo via. In uscita non trovo subito l’ingresso del percorso e seguo gli uomini con le bandiere rosse che mi indicano dove andare.
Nella mia tabella mentale mi sarei accontentato di coprire i 10.000 di corsa a 5’ di media, anche considerando com’era andata a Capodimonte. Con mio stupore invece mi accorgo che la gamba gira, che il cuore batte a ritmi buoni e che tutto sommato… non sono neanche stanco!!
Non mi fanno impazzire i circuiti e il triathlon è tutto un circuito, ti capita quindi che mentre corri a 4’30”, e pensi di essere il dio dei venti, di fianco ti passi un tizio che ti svernicia a 3’20” e lo vedi allontanarsi in men che non si dica. Te ne fai una ragione e continui sul tuo ritmo. Nei quattro giri da 2,5 chilometri, non ho mai sofferto più di tanto, giusto un leggero dolore per una vescica sul piede destro. Ho cercato di curare ritmo e postura, sicuramente avrei potuto dare qualcosina di più, ma chiudere bene era il mio unico obiettivo. Concludo a 4’34” di media e  sono soddisfatto.
Il mio primo olimpico mi vede tagliare il traguardo in 2h24”. 
Subito dopo l'arrivo non avevo idea se si trattasse di un buon tempo o un disastro, poi scopro di essere arrivato 121° su quasi 300 atleti ai blocchi di partenza. Per essere la prima volta sono felice.
Sarà una coincidenza, ma ogni volta che il numero del pettorale mi piace le cose vanno bene. La somma di 194 fa 14… il mio numero preferito.
Il mio cammino per diventare un triatleta prosegue, prossima fermata Sabaudia.
Mi sarebbe piaciuto arrivare sotto il traguardo e vedere i tuoi occhi azzurri e magari sentirmi dire "bravo", anche se non ci sei più sei stato al mio fianco per tutta la gara. Mi manca la tua voce, ciao Pà!


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