martedì 14 giugno 2016

Sono un triatleta



Sveglia alle 06:00.  Metto su il caffè e penso che la cosa più difficile della giornata sarà tirare fuori dal letto Cesare e Isabella. Il sonno è realmente un buon misuratore dell’età,  più s’invecchia... meno si dorme e io ormai da tempo non metto più la sveglia… ma sono il classico esempio dell’eccezione che conferma la regola. Non mi sento vecchio neanche un po’, anche se ogni tanto mi piace dirlo.
I bagagli sono pronti dalla sera prima. Riusciamo a partire alle 08:00 in punto.
Il viaggio verso Pescara corre veloce, un paio d’ore di autostrada cantando a squarciagola musiche della Disney con i piccoli… il duetto con Bella in “Il mondo è mio” di Aladdin meriterebbe palcoscenici importanti. Il cielo è pulito e nonostante il sole alto la temperatura non è altissima.
Come consigliatomi da Strong, ci dirigiamo subito verso piazza I° maggio, per la registrazione alla gara e per il ritiro del pacco gara. Uno zainetto striminzito con la scritta “Ironman 70.3 Italy - Pescara” che reputo fighissimo e che, ahimè,  mio figlio Cesare mi ha già fregato!!!
Ritiro le tre bags e facciamo qualche giro tra gli stand di piazza “Salotto” e alla fine decidiamo di andare in albergo per un po’ di relax.
Dopo il pranzo e la rifinitura in bici pre 70.3 (come da tabella), riprendo la macchina e  vado da solo in zona Cambio. Il cuore del triathlon, di qualunque distanza esso sia.Mai visti tanti triatleti tutti insieme.
Preparo la bici accuratamente. Nella borsa anteriore le barrette, già tagliate a metà (da consumarsi ogni 25 minuti), nella borsetta posteriore l’officina da campo con tutto quello che potrebbe servirmi in caso di guasto. Nastro carta per fermare le bombolette d’aria compressa e altro. Blue bag e red bag sistemate con il materiale da gara bike e run. In realtà la sacca per il ciclismo è quasi vuota, preferisco lasciare le scarpe attaccate alla bici e il casco con gli occhiali sul manubrio. Decido poi di saltare il briefing in italiano e di tornare a riprendere il resto della famiglia per una passeggiata in centro. Il sabato finisce in un delizioso ristorantino di pesce dove io consumerò un tristissimo piatto di pasta al sugo.
Il giorno della gara per me comincia molto presto. Alle 03:00 urla provenienti dalla strada, mi svegliano. I tifosi pescaresi sono i festa per la promozione in serie A della loro squadra del cuore... e io ne pago le conseguenze. In barba all’orario trombe e clacson come fossero le 11 di mattina. Quando il silenzio torna sovrano il mio sonno è ormai lontano e la tensione per la gara mi tiene gli occhi spalancati. Non faccio altro che girarmi e rigirarmi nel letto. Le gambe sono tese e sento dei veri e propri dolori lungo tutti gli arti.
Il cielo fuori è nuvoloso, ma almeno il mare è un tavola blu.
Dopo un abbondante colazione, insieme al resto della truppa, ritorno in zona cambio per posare le borracce con gli integratori dentro sulla bici. Do un’occhiata in giro e vedo questa distesa di teli bianchi in plastica che servono a riparare le bici. Ho un po’ di nausea e me la sto facendo sotto. Quella perenne sensazione di dover andare in bagno non mi molla. Cerco di stare calmo e recito nella mente sempre la stessa frase… ”è solo strizza”. Ormai mancano poche ore alla partenza e dal cielo una pioggia battente costringe tutti a cercare riparo dentro i chioschi bar o sotto gli ombrelloni degli stabilimenti balneari. Sembriamo pronti ad un invasione via mare.
Trovo coraggio nell’abbraccio della mia famiglia. Sono con me. Moira mi dice “Devi arrivare, a tutto c’è rimedio”… questa frase rumoreggerà nella mia testa durante tutte le sei ore di gara.
Dopo aver infilato la muta mi incontro con Antonio, un ragazzo della mia squadra, la Podistica e Solidarietà (lungo il percorso ne incontrerò qualcun altro), con lui rimarremo a farci forza fino all’ingresso in acqua. Siamo tesi e si vede. Gli dico di stare calmo, in fondo anche se il mare non è calmo sono sempre  un chilometro e novecento metri.
Decido di entrare nella griglia 30-34 minuti e convinco Antonio a venirmi dietro. Credo di riuscire a chiudere la distanza in questa forbice di tempo. Il nuoto è quello che mi lascia al momento più sicurezza, non per le mie prestazioni, ma per la solidità con cui riesco a stare sul "pezzo".  
Dal riscaldamento in acqua saranno passati circa venti minuti e il mare, come nel migliore dei film, cambia radicalmente umore. S’ingrossa, comincia ad incresparsi e sui frangiflutti si abbattono onde sempre più grandi.
Alla partenza dei Pro il mare è già mosso, con moto ondoso in aumento.
La fila davanti a me scorre veloce, si parte cinque per volta e io mi scopro a non avere più paura, finalmente si parte. La ragazza in maglietta verde dell'organizzazione davanti a me libera il passaggio e mi lancio verso il mare.
Davanti tante cuffie rosse e qualche calotta grigia degli iscritti al Triclub (competizione a squadre per il campionato europeo). Le prime bracciate sono abbastanza facili, ma nella strozzatura degli scogli mi trovo davanti una serie di muri d’acqua. Rimango immobile e comincio a galleggiare a rana facendomi dondolare dalle onde altissime. Sono una dietro l’altra, senza soluzione di continuità. Mai nuotato in certe condizioni. La prima boa ancora è lontanissima e capisco da subito che sarà dura. Tornare indietro mai. Cerco di non abbattermi e di seguire il resto degli atleti, ma la marea ci nasconde tra le onde. Ho difficoltà anche a vedere le boe gialle, ma vado comunque  avanti, non c’è altro da fare. Ogni tanto devo fermarmi e guardarmi intorno per capire dove sono e dove devo andare. E’ pura fatica. Sono solo in mezzo al mare, a circa dieci metri da me, una cuffia rosa e due rosse.
Una moto d’acqua mi passa a cinque metri e gli urlo “dove cazzo dobbiamo andare??!”, nessuna risposta... alla fine riesco ad arrivare verso la fine e a inforcare le due boe che portano all’uscita. In quel momento la confusione è totale. Siamo in un gruppo di sette, otto triatleti e volano botte da orbi. Prendo un calcio in bocca e alla fine comincio a darle pure io. Una volta sulla spiaggia un ragazzo in maglietta blu ci dice che la frazione nuoto è stata interrotta dalla Capitaneria di Porto e che si passa ad un duathlon. Guardo i garmin e lappo… 39 minuti, buono!
Il primo pensiero è stato negativo, ma poi mi sono reso conto che i nuotatori meno esperti si sarebbero trovati davvero in difficoltà e che non c’erano più le minime condizioni di sicurezza in mare.
Non aver nuotato mi avrebbe lasciato un grandissimo senso di vuoto. Senza nuoto non è un Ironman… non è neanche Triathlon.
Mestamente e senza troppa fretta mi porto in T1. Ripeteranno il  rolling start per la bici. Dopo aver tolto la muta e infilato il casco mi metto in coda con la mia Wilier Zero 9 al fianco, in attesa di cominciare la seconda frazione. Sembra di stare in fila alla cassa del supermercato. Davanti ho centinaia di persone. Dopo oltre 30 minuti di transizione riesco a cominciare a pedalare. Sento chiaramente che l’adrenalina è scesa a livelli bassissimi. Mi “sparo” il primo gel e sono a 35 km/h in uscita da Pescara. Al fianco mi passano tanti ciclisti a velocità sconosciute. I primi 15 km sono abbastanza “puliti”, la regola del NO DRAFT viene quasi rispettata, dopo di che la gara diventa una sorta di Granfondo, con pochi a tirare e tanti in coda a “tutelare” le gambe.
Quando ho deciso di fare un Ironman ero consapevole delle sue regole e ho deciso di rispettarle, ho evitato accuratamente di stare in scia senza voltarmi mai indietro per guardare se qualcuno “succhiava”. Vedere la faccia disgustata di tanti atleti venuti dall’estero, mi ha messo in imbarazzo… “i soliti italiani”.
Sul piano e in discesa riesco a tenere la media prestabilita, ma in salita mi accorgo di essere molto indietro agli altri, mi pianto come un ulivo. Sorpasso, ma vengo puntualmente ripassato. La media sale tantissimo e gli sforzi fatti in discesa e pianura non riescono a compensare a pieno la media finale.
Mangio le barrette e bevo i Sali. Sento Strong nella testa. Penso ai miei biscotti Pavesini e rido al pensiero di quanto ancora ci sia da fare nella bici. Sulla statale finale sembra quasi fatta, ma rimango concentrato, non devo mollare con la testa, mi metto accucciato e pedalo come non ci fosse un domani e per non pensare alla fatica comincio un esercizio già noto… il Soulsaver. Sono inaspettatamente sereno. A un chilometro dalla zona cambio sfilo le scarpe e vengo colto dai crampi, riesco a gestire bene la situazione e a scendere dalla sella in tempi brevi. Chiudo in 3h10’ la frazione bike. Tempo alto, ma non importa, sono andato molto vicino al mio obiettivo delle tre ore, sono soddisfatto e neanche troppo “bollito”. Esco dalla T2 in poco più di tre minuti, prendendomela anche comoda.
Arrivo finalmente ad affrontare il mio grande spauracchio di questi mesi. La corsa. Giro il mio pettorale 1126 davanti e penso “riuscirò a correre per 21km??! Certo che si!!”. #pensopositivo
Nei primi due chilometri sto attento a non esagerare, lascio il tempo alle mie gambe di riabituarsi a camminare dopo le ore in bici. Entro nel circuito run da sei chilometri in mezzo a un fiume di gente, tutti non curanti della pioggia che scende giù copiosa. Qualcuno imbocca già il sentiero dell’arrivo e io sono solo all’inizio. Non importa. Ci sono, conta solo questo. Davanti alla postazione di rifornimento Red Bull vedo Moira con i piccoli. Il cuore mi si apre e in quel momento penso che non mi fermerò mai, che devo arrivare assolutamente al traguardo per far vedere ai miei cuccioli quanto è bravo il loro papà.
Il primo giro mi sembra interminabile, ma sono cosciente e gestisco bene l’andatura. Ogni tanto scendo sotto i 5 a km e sono costretto a “riprendermi”. Non devo esagerare. Rimango alto con il passo per evitare brutte sorprese andando avanti. A ogni ristoro mi fermo a camminare per riuscire a bere (non sono capace a farlo in corsa), e poi riparto senza grandi difficoltà. Incrocio un paio di volte Strong che m’incoraggia a non mollare.  Il secondo giro è quello più complicato, il pensiero d’un tratto vola a mio padre e un morso alla gola mi prende improvviso, devo fare uno sforzo per non pensarci altrimenti rischio di scoppiare in lacrime in mezzo alla strada. Ci sono ancora 10 km tra me e il traguardo e non posso perdere la concentrazione. Per terra le pozzanghere diventano sempre più grandi e le scarpe s’impregnano d’acqua. Sotto i piedi sento le prime vesciche. Gli atleti intorno diminuiscono e anche il pubblico comincia ad arrendersi alle intemperie. Ogni tanto mi capita di vedere Danielina e mi accorgo che ha un passo molto simile al mio. Strepitoso quello che è riuscita a fare.  
Inizio l’ultimo giro e Isabella mi allunga l’ultimo gel.  In quel momento penso “ce l’ho fatta!”. Non sono stanco e gli ultimi sei chilometri non saranno un problema. Sono fiducioso, non sento un'eccessiva fatica e sono presente a me stesso. Affianco un ragazzo avvolto dalla bandiera rumena e percorriamo insieme gli ultimi metri. Entro nel Red Carpet riuscendo anche ad accennare un mezzo sprint. Passo sotto l’arco dei Finisher in 6h12’ e qualche secondo (il tempo reale è un altro, ma credo che abbia davvero poca importanza).
“Non sono neanche troppo stanco”, ecco cosa ho pensato nel piegarmi sulle ginocchia. Credo che sarei arrivato avvolto dalla fatica e dal dolore e invece mi sono accorto che l'unica cosa che sentivo era di essere veramente felice.
Tutta questa storia è stata faticosa, dal primo allenamento di Stefano da 30’ easy, alla stesura di questo racconto. Ne è valsa però davvero la pena. E’ stato un cammino lungo e pieno di soddisfazioni, ma soprattutto è stato bello riuscire, ottenere quello che per tanti mesi mi ero prefissato. Il merito di questo mio successo è in gran parte del mio coach e dei suoi allenamenti, ma non solo. Per il resto credo di averci messo tanto anche del mio. Mi sono divertito un mondo e non vedo l’ora di ripetermi, senza far passare troppo tempo. Ora finalmente, dopo questo Ironman 70.3, credo di poter dire che anche io sono un Triatleta.

venerdì 10 giugno 2016

#Iopensopositivo



Ora vi racconto come andrà la mia gara e badate bene, questo non è portarsi sfiga, ma è prevedere il futuro.....

Ore 12. Davanti a un mare calmo, dalle tonalità caraibiche (magari), partono i Pro. Uno sparuto gruppo di ragazzotti e ragazzotte, infilati nelle loro mute da 1000 euro, che da subito si danno bagarre.
Dopo di che, tocca alla categoria degli age – group. Speacker e musica a cannone. Partiamo alla spicciola, senza troppa frenesia. Vado del mio passo e dopo qualche minuto di riscaldamento tiro fuori la bracciata giusta, lunga e ritmata. Cambio ritmo e metto la freccia… uno, due, tre e sulla mia destra scivolano alle mie spalle altri triatleti. A ogni bracciata un avversario cede il passo. Esco dall’acqua in 29 minuti netti, mi butto in T1 e in pochi istanti ho già il culo sulla bici. Prima ora in agilità. Ogni 25 minuti mangio mezza barretta senza dimenticarmi di bere spesso. La gamba va, la testa è libera e tutto fila liscio come l'olio. Sono intorno ai 150 bpm. In salita qualche piccolo affanno, ma ne esco fuori discretamente. Non perdo posizioni e tengo botta. Nessun segno di fatica o cedimento. Ho fatto troppo culo in questi mesi per non farcela.  Dietro di me il vuoto, davanti ai miei occhi una fila lunga di ciclisti, distanziati di una decina di metri gli uni dagli altri. In discesa getto via ogni indugio e mi butto a capofitto nella ricerca del mio obiettivo... chiudere la frazione bike dentro le tre ore, in barba pure ai quei bastardi cinque chilometri in più del percorso. Lappo il garmin in 2h50’, "ce l'ho fatta, cazzo!!" è l'unico pensiero che mi passa per la mente, ma rimango calmo, ancora non è finita. Il sole comincia a battere forte sopra le nostre teste. Mi guardo in giro e per le strade c’è un sacco di gente. Amici e parenti venuti a guardare. Sposto la visiera per coprire gli occhi dal riverbero della luce sull'asfalto e comincio l’ultima fatica. La corsa. 
Primi due chilometri abbondantemente sopra i 6 km. Seguo i consigli di Strong e do il tempo alle mie gambe di abituarsi a questa nuova disciplina. Rimango "coperto". Passato il primo ristoro trovo un buon passo e la gamba corre da sola. I primi 10 chilometri li chiudo in 55 minuti, forse anche troppo alto come ritmo, ma mi sento bene e non demordo. A un chilometro dalla fine sono ormai certo di portare a casa l’agognato premio, il traguardo.
Sotto il tabellone "IRONMAN" fermo il mio fenix, concludendo la corsa in1h50’ e con un tempo complessivo di 5h25’. 
Sono sazio di felicità e la stanchezza per qualche istante sparisce da ogni muscolo del mio corpo.
Medaglia al collo me ne torno verso l’albergo consapevole di essere pronto per una nuova avventura.

Ecco questo era il compito assegnatomi per oggi da Strong. Mi ha detto “basta con questi cazzo di pensieri negativi sul blog, ora scrivi un post dove immagini una gran gara, dal nuoto alla corsa e con un gran finale.” 
L’ho fatto e devo dire che aveva ragione, bisogna essere positivi!! Perchè la verità è che vorrei vivere la gara che ho raccontato, sarebbe l'impresa perfetta.

martedì 7 giugno 2016

Ultimi giorni

Diario di un'aspirina.
Ultima settimana di scarico. Meno cinque giorni all'alba. Con la testa sono già a Pescara. Purtroppo partirò solamente sabato mattina, avrei preferito farlo prima, ma gli impegni di famiglia non mi consentono di anticipare. 
Da qualche giorno ho mal di schiena e oggi anche lo stomaco comincia a fare i capricci. La verità è che me la sto facendo sotto, chissà poi perché?! In fondo, per quanto dura possa essere, è pur sempre una gara di triathlon. Niente di serio. La sto certamente caricando di troppe aspettative, ma insomma... è la prima volta, un po' di strizza e di importanza devo pur concedergliela. 
In questi giorni Strong mi fa da balia. Ormai gli faccio domande di tutti i tipi, anche le più stupide e lui mi risponde con il suo modo gentile e pacato (tanto poi mi farà il culo sul suo blog). Continuo a leggere e rileggere la guida dell'atleta Ironman, a cambiare e ricambiare il programma del fine settimana.  Orario di partenza, albergo prima o dopo la registrazione, bike service si, bike service no... milioni di dubbi.
Il fatto di essere allo scuro di tutto mi mette agitazione e per cercare di colmare le mie lacune, non faccio altro che stampare fogli di carta word, con tutti i consigli, le tabelle, gli orari e quant'altro possa aiutarmi a non dimenticare qualcosa. Senza sapere cosa sia quel qualcosa. Dovrei pensare esclusivamente alla mia condizione fisica, che in realtà non mi convince per niente. Sono abbastanza fiducioso di uscire bene dall'acqua e di poter fare i 90 km (ho scoperto che sono 94.8) ad una discreta andatura... i 30km/h di media sono un'utopia. La corsa, come del resto in questi ultimi due mesi, mi mette un'ansia palpabile. Una mezza maratona per un runner è una sciocchezza, per me no!! Ventuno chilometri sono un botto. Spero di non andare in crisi troppo presto e di riuscire a stare dentro le due ore. Nella mia immaginazione mi vedo sotto un sole feroce, fradicio di sudore, con un passo da cane zoppo. La tipica andatura che ho negli ultimi cinque chilometri della maratona. 
Per ora chiudo qui. Avrei voluto raccontare il viaggio verso il mio primo Ironman 70.3 in modo diverso, magari più dettagliato, scrivere però, è molto più difficile che aspirare a diventare un triatleta. 
Come si fanno a raccontare tutti i pensieri che ti passano nella testa durante i  mesi di "rulli" fatti nel soggiorno di casa, ad orari improponibili, con il sudore che ti cola lungo il naso, mentre senti il cuore esploderti fuori dal petto. 
Come descrivi il rumore che rompe il silenzio, ogni volta che una tua bracciata infrange lo specchio d'acqua nelle nuotate delle 06.30 di mattina.
E' impossibile raccontarlo veramente.
Sono stati mesi appaganti, ma anche molto difficili. Allenamenti bucati che mi hanno lasciato l'amaro in bocca e molta insicurezza, altre uscite che, allo stesso modo, mi hanno riempito di gioia.
Ho conosciuto in questo periodo, anche solo virtualmente, tanta gente che in un modo o nell'altro mi ha dato una mano in questo cammino. Un consiglio, un messaggio d'incoraggiamento. Qualcuno me lo sono perso per strada, non solo per mia scelta, ma forse solo perché era più facile così. La vita ci mette davanti a dei bivi tutti i giorni, poi sta a noi scegliere quale prendere. Io ho deciso per la strada in salita, quella più difficile, sperando che questa sia solo la prima tappa di un tour lunghissimo e pieno di divertimento. 
A dopo. 

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