Ladispoli. Arrivo e cerco il mare.
Alzo un po’ la testa, mi sporgo ma niente. E' lì. dietro l'angolo ma tagliato
fuori da questa gara che non a caso si chiama ''Correndo nei Giardini''. Il
passaggio sul lungo mare e l'arrivo in piazza è stato sostituito per necessità
logistiche. Ora è tutto più godibile con l'ampio spazio per il ritrovo delle
società. Il pratone circostante dove i nostri figli hanno giocato e ci hanno
ignorato fino al momento di ripartire e un percorso più lineare con una zona
partenza ampia e scorrevole. Meglio. Sicuramente meglio in tutto e per
tutto. Eppure la mia natura nostalgica mi fa comunque rimpiangere quell'altra
corsa. Quella di qualche anno fa, con il tratto sul lungo mare e l'odore del
sale. Quella che se capitava la giornata nera dovevi correre prima contro il
vento e poi con i km. Bella quella gara, bella anche questa. Sicuramente
meriterebbe maggior attenzione mentre invece rimane un pò strozzata nella terra
di nessuno. Là sul limite ambiguo di una maratone incipiente. Ma non una
maratona...LA MARATONA. La maratona di Roma. Quella tanto attesa e preparata.
Quella dei sogni, dei debutti, della paura, dell' esserci a tutti i costi.
Quella che catalizza e muove ogni km, ogni gara, ogni discorso prima di lei. E
dopo....dopo non c'è niente. Non lo so. Vorrei solo che finisse. Che passasse.
Vorrei solo essere già al di là.
Chiaro quindi che i 10mila a
Ladispoli sono km corsi con un piede in due scarpe, gareggiando qui ma pensando
ad altro. Riduttivo purtroppo relegare la Correndo nei giardini come un mero
test. Ma per moltissimi è così. Un check up prima del grande salto anche se la
giornata meriterebbe di più. Ma c'è poco da fare. Quando uno passa mesi con un
obbiettivo scritto in fondo ad una tabella, l'obbiettivo è tutto ciò che
rimane. Non c'è spazio per niente'altro se non per la nostra stessa ansia che
sale. Ce la farò? Sarò all'altezza? A volte tutto sembra congiurare e tutto
sembra precipitare un attimo prima del momento atteso. Dolori, infortuni,
febbri. Con una analisi psicologia da pacchetto di patatine si liquida il
tutto con una definizione: '' strizza ''. E' la paura. Il
nervosismo. Come se il nostro corpo ci offrisse un'alternativa. Una via di
scampo da quello che a volte ci auto-infliggiamo. Troppa tensione e carica a
mille e rischiamo alla fine di arrivare scarichi come palloncini mosci della
festa della sera prima. Sarà così o no questo non ci è dato di sapere. Ma la
Maratona, anche se la GARA, in fondo non è altro che UNA gara...un bel viaggio
a cui vale la pena di partecipare.Una festa, un evento. Non dobbiamo rimane
vittima delle prestazioni o delle aspettative. Le nostre prima di quelle altrui.
Ma dobbiamo avere il coraggio di provare. Di fare quel primo passo e saltare
giù. Come un giro sulla giostra che da sotto fa paura, in volo toglie il fiato
ma quando finisce, con il cuore ancora a mille e le guance rosse d'emozioni, ti
viene solo da pensare: Lo rifacciamo?
Ma dov'è il mare che non lo vedo?
C'è, c'è. E' solo un po' più in là. Dietro quella curva...corro e penso ad
altro. A domenica. La partenza. Il lungo Tevere. Il fiume infinito di gente.
Corro e sento la fatica, i dolori...
mi metto le mani sui fianchi. Scuoto la testa.
Ma domenica è qui. Si avvicina. Ci
viene in contro col passo sciolto del Keniano campione. Saremo pronti?
Lo scopriremo presto, troppo presto
mi dico.
Ma lì. Fermi in attesa tremanti ,con
il numero appiccato proprio sopra il cuore, sarà tutta un'altra
storia.
Correrò forse...e intanto
cercherò il mare.
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