|
@fotofhania |
La
prima Maratona per un runner non è solo un concetto esistenziale (per cui da
quel giorno la tua vita sarà divisa in due, a.M e d.M, due ere storiche solo
apparentemente indistinguibili una dall’altra) ma una specie di principio
einsteiniano, nel senso che è davvero capace di piegare il tempo e di
trasformarlo.
E
non solo perché alcuni minuti di quelle quattro ore e mezza (per me, ma
sospetto che le cose non cambino molto anche se sei un keniota che ci mette
poco più di due ore o un buon runner che sta un po’ sopra le tre) possono
davvero sembrare anni luce in termini di fatica e sudore.
È
inevitabile che la Maratona se ne stia lì in un angolo più o meno remoto della
mente di chiunque prenda un paio di scarpe e si metta a correre in un parco o
su una ciclabile e poi, come abbiamo fatto io e Luisa un anno e mezzo fa,
decida che è il momento di mettersi alla prova con qualche gara.
Nel
mio caso (ho studiato lettere classiche) Maratona evoca anche episodi di eroico
coraggio con un pugno di coraggiosi capaci di sconfiggere eserciti dieci volte
più grandi, ma è anche un serissimo memento
perché Fidippide, il primo a correre la distanza, con l’urgenza di avvertire i
concittadini di un possibile attacco persiano, finita la corsa ha finito anche
la sua vita…
Inizi,
per l’appunto, con le gare da dieci chilometri e la gente comincia a chiederti
“Ma quanto sei arrivata?” e vagli a spiegare che per fisico, storia sportiva e
capacità, difficile che tu arrivi mai a prenderti qualche medaglia se non in
qualche garetta in cui fantastiche combinazioni astrali fanno partecipare poche
donne della tua categoria. Ma che tanto non importa, che per te ogni volta
arrivare è un momento magico perché hai superato una sfida con te stessa…
Inizi
le gare, magari ti metti finalmente alla prova con una Mezza (l’insidiosa
Roma-Ostia magari…) e cominci a capire meglio che vittoria è anche solo
arrivare in fondo…
E poi, magari perché hai una sorella che ha
il cuore di vederci più lontano di te e il decisionismo necessario per buttare
il cuore oltre l’ostacolo, ti ritrovi iscritto alla tua prima Maratona, e
giustamente vuoi che non sia in un posto a caso.
È la Maratona di Roma, casa tua, sotto gli
occhi (potenziali) degli amici che ancora non capiscono come fai a svegliarti
tutte le domeniche come se andassi a lavorare, per fare questa cosa faticosa e
sudata, e probabilmente anche il mitico 23 marzo se ne staranno a letto o solo
per caso si ricorderanno di scendere in strada a vederti passare (all'ora
sbagliata, perché non hanno idea di quanto ci potrai mettere a fare il
percorso, ma è il pensiero che conta).
E, lo sai già, a iniziare così parti già
con un vantaggio mica tanto nascosto: ci sono almeno altri ottanta ramarri in
gara, qualcuno (oltre tua sorella cui speri di riuscire a stare attaccata tipo
cozza il più possibile, visto che ha più fiato e più allenamento di te) sul
percorso lo troverai per scambiare un incoraggiamento e magari fare un tratto
insieme, e poi ci sono soprattutto i ramarri del ristoro al 35esimo, una specie
di oasi nel deserto del Sahara che già sai che sarà la gara a un certo punto… E
c’è quel senso del rispetto di te stessa che sai che ti sosterrà come e più
degli integratori quando sbatterai contro il muro (già sai che accadrà, bisogna
solo indovinare quando) e non vorrai cedere proprio in mezzo a piazza Navona in
mezzo ai turisti che mangiano la pizza e il tiramisù spaparanzati sulle sedie e
intanto ti urlano di continuare a correre….
Tutto questo accade mesi fa, poi inizia il
vero allenamento, i lunghi effettuati in Villa sotto l’occhio attento e
l’incoraggiamento di Tonino, che mai una volta mette in dubbio che ce la potrai
fare. E allora cominci a crederci un po’ anche tu, anche quando corri sotto la
pioggia e arranchi nel fango; e poi, nelle settimane successive, quando i
lunghi li fai nelle più diverse città europee e un po’ incosciente pensi che la
Porta di Brandeburgo è così scenografica che se arrivi in fondo alla prima
Maratona un pensierino anche a quella di Berlino ce lo devi proprio fare…
|
web |
Ecco, a due mesi dalla prima Maratona il
futuro ancora esiste, anche se vago, esistono settimane e mesi dopo il 23 di
marzo, altre gare, altro lavoro, le vacanze….
E poi, a un mese dalla gara il ginocchio
comincia a fare male, e lo fa in quella maniera insidiosa e traditrice, non
quando corri, all'inizio, ma dopo, per cui cerchi di non sentire e non vedere e
rimandi e continui a fare i lunghi anche se adesso forse devi ammettere che c’è
qualcosa che non va… Vai a trovare
Francesco, ma solo quando proprio non puoi fare a meno di vedere la realtà e lì
scopri che forse non sarà il tuo scarso fiato, i tuoi allenamenti non precisi
al cento per cento, ma proprio quel ginocchio che non vuole collaborare a farti
fallire ancora prima di iniziare.
La possibilità che la sconfitta si
concretizzi prima ancora di mettersi a lottare (perché è così che la vivi, non
come una sfida rimandata) ha un effetto incredibile.
Sì, perché
è lì che all'improvviso il tempo cambia assetto: in quell'ultima
manciata di giorni, con il ghiaccio sintetico comprato in ogni farmacia
disponibile e tamponato sul ginocchio anche durante le riunioni di lavoro con
effetti esilaranti per tutti i presenti, il tutore ad ogni allenamento e gara,
la piscina a sostituire qualche corsa, è allora che all'improvviso il futuro
dopo le 9 del mattino del 23 di marzo scompare…
Scompare, scompare, nel senso che proprio
non riesci a immaginare cosa potrà essere. Sei sicura che a seconda di come
andranno le cose sarai una persona così diversa che esaminare le alternative
diventa impossibile. Non vedi nulla, il giorno dopo al lavoro, le settimane
successive, ma nemmeno il pomeriggio della domenica. Una lavagna bianca che
attende di essere riempita solo con il sudore della fronte, l’acido lattico
nelle gambe e la soddisfazione o l’insoddisfazione di quel traguardo….
È strano vivere senza il futuro, ma ti ci
devi abituare e allora cominci a contare
giorni e ore, perché a quel punto tanto vale partire, e vedere se dietro la
linea del 42esimo chilometro il futuro rispunta fuori. Ti ci abitui ma non
tanto, e le ultime corse insieme, il documentario visto in compagnia, le ultime
applicazioni di ghiaccio, ti fanno solo montare l’ansia per cui quando parti
hai le gambe molli come agli esami dell’università…
Ma alle nove del mattino del 23 di marzo
succede un miracolo, o un fenomeno fisico che per l’appunto solo Einstein
riuscirebbe a spiegare: il tempo si rimette in moto, come il conto del mio
Garmin (e pazienza che poi lui abbia deciso che al km 41 aveva lavorato
abbastanza o io ci avevo messo troppo tempo e ha dato l’arrivederci, ragion per
cui per il Garmin la mia prima maratona dura 41 km esatti), e comincia
distendersi sui chilometri di asfalto e sampietri in una maniera inaspettata.
Da lì in poi tutto è una specie di miracolo
inaspettato, non un miracolo di Lourdes, ma piuttosto il miracolo dei fiori che
sbocciano a primavera sul balcone, che potevi sospettarlo, sì, ma poi è una
sorpresa comunque e allora l’unica parola che ti continua a risuonare nella
testa è GRAZIE!
I
chilometri vanno, la fatica c’è, ma il maledetto ginocchio collabora
(grazie Francesco, grazie Luisa che
corri di fianco a me, grazie amici che correte, che supero e che mi superate,
grazie all'antinfiammatorio, grazie al tutore e grazie all'imbarazzante
ghiaccio sintetico delle scorse settimane) e dopo i 25, anche se so ormai che
un po’ camminerò, so anche che alla Prima Maratona ci arriverò in fondo. Ogni
tanto, dietro un angolo, o ai bordi della strada, spunta Chiara in sella alla
bicicletta e il suo incoraggiamento mette il turbo, anche se magari il turbo
dura poche centinaia di metri.
Le canzoni messe nell'Ipod si snocciolano
una dopo l’altra, arriva il ristoro del 35 e
qui trenta secondi di facce amiche mi ridanno la carica e promettono che
l’arrivo non è lontano. Per la testa ti passa addirittura un pensiero folle:
tutto sommato avrei pensato peggio… e ricominci ad andare anche se ora è un po’
corsa e un po’ camminata (sì, anche sotto gli occhi dei tedeschi che mangiano a
piazza Navona, perché è bagnato, ci sono i sampietrini e l’ultima cosa che vuoi
è rovinarti tutto con una caduta a pochi chilometri dal traguardo).
E poi arriva l’ultimo regalo di questa
giornata unica, un’amica che mi insegue dal ristoro, mi ritrova e con pazienza
e affetto si fa tutti gli ultimi chilometri con me (ci rivedo nei video delle
telecamere su internet e mi commuovo di nuovo), chiacchierando, incoraggiando,
facendo anche da coppiera al malefico ultimo ristoro nel fango e nell'ombra del
traforo e poi giù su via Nazionale, finché a Piazza Venezia non la cacciano
via.
Già sull'ultima discesa, complice la
canzone nelle orecchie, ho cominciato a sentirmi gli occhi umidi ma agli ultimi
metri io che piangere piango poco e avevo assolutamente escluso di poterlo fare
qui, comincio a sentire le lacrime che scendono, e sono lacrime strane perché
vengono fuori insieme a un sorriso.
Sorrido a tutti, alla signora che mi mette
al collo la medaglia, a quello che mi passa la bottiglietta dell’acqua, al
compagno di squadra che arriva o è appena arrivato, a quelli che trovo più
avanti, e, da lontano, a quelli che stanno ancora là al km 35 e ci staranno
sotto l’acqua ancora per ore.
Il futuro è arrivato, esiste, ed è
bellissimo, più bello di come avrei potuto immaginare, come i fiori lavati
dalla pioggia a primavera, come un’esplosione che si spande a onda e che andrà
avanti per i prossimi giorni, facendomi dire continuamente “Grazie!” come una scema…
Grazie
agli amici che ci sono stati prima durante e dopo!
Grazie a questa meteo un po’ bastarda e ai
sampietrini perché dopotutto queste difficoltà in più ti fanno solo pensare che
in futuro potrai fare meglio e se fosse stato troppo facile la prima volta ti
sarebbe rimasto il dubbio che non potevi riprovarci.
Grazie per quel tempo (4 ore e 36) un po’
così e che pure non è scontato, perché dentro di te comincia a già a pensare
come fare a migliorarlo la prossima volta.
Quando
hai finito la gente comincia a dirti “adesso sei una maratoneta”.
E all'improvviso ti rendi conto che tutto
questo ha a che fare con la fatica e con l’acido lattico nelle gambe, ma che
quell'aggettivo contiene qualcosa di veramente nuovo.
Sei una maratoneta perché adesso sai
qualcosa di te stessa che non sapevi e non potevi sapere prima (e quando
riguardi le foto della gara ancora ti ripeti, “ma chi lo direbbe che quella lì
ce la può fare?”). I tuoi amici, quelli
che ci credevano, lo sapevano ma tu no.
E
adesso invece sì.
E adesso non vedo l’ora di cominciare un
altro conto alla rovescia (anzi, per la verità è già incominciato), e forse
capiterà di nuovo che il futuro all'improvviso scompaia inghiottito dall'ansia
e dall'imprevisto.
|
Sole di mezzanotte a Capo Nord |
Magari non andrà sempre così bene, magari
ci saranno maratone più difficili, ginocchia che proprio non vanno, imprevisti,
ma so che ci proverò e ci riproverò,
come ho visto fare ad amici e amiche tenaci…
Il
futuro sta ancora lì dietro l’ultima curva, devi avere il coraggio di correre
fino lì…