martedì 3 giugno 2014

"Cortina - Dobbiaco 30 km di pensieri" di Luisa Cotta Ramosino

Ramarro all'orizzonte
La prima volta che ho sentito parlare di questa gara è stato un anno fa quando una cara amica l’ha affrontata con il suo solito sorriso e l’entusiasmo che la rende così speciale. Le foto di quell’impresa, il modo in cui ne parlava, il fascino di luoghi che conoscono per ragioni tutt’altro che sportive, mi avevano fatto nascere l’idea di tentare, prima o poi, l’impresa anche se all’epoca mi pareva decisamente al di là delle mie limitate capacità podistiche… Di mezzo ci sono state pazzie improvvise come iscriversi a una maratona (che poi sono diventate 3, una corsa e altre due in attesa di tagliando…), provare una 30 del mare (e c’è lo zampino della stessa amica) e vari (per lo più falliti) tentativi di allenarsi in modo sensato e produttivo. Fatto sta che quando in primavera un’altra amica ha messo nero su bianco la sua volontà di partecipare ho deciso di buttare il cuore oltre l’ostacolo e di iscrivermi anch’io, cercando di non pensare a quel simpatico schema altimetrico che mi pareva decisamente meno affascinante di tutte le immagini del sito della competizione.
Non posso dire di aver dedicato a questa gara una vera preparazione specifica, anche se va detto (ed è un Product Placement nemmeno tanto occulto della suddetta Cortina-Dobbiaco) che ai Ramarri che si allenano in Villa i sentieri di questa 30 km sembreranno decisamente meno impervi di tanti percorsi di casa… Insomma, a parte qualche salita in più in programma, una bella uscita in Abruzzo per abituarsi alla quota (e rendersi conto che l’ossigeno non è un’opinione), e poco altro, come al solito aveva vinto l’incoscienza. Con l’aggiunta di un fastidioso dolore che mi portavo dietro da Pasqua e che sembrava farsi più acuto proprio quando affrontavo le salite, decisamente non una condizione promettente per la Cortina Dobbiaco. Però dall’altra mi dicevo che in fondo, sì, sono 14 km di salita, ma poi ce ne sono 16 di discesa…l’importante è arrivare in cima, poi il resto lo faranno l’entusiasmo e la gravità. Sta di fatto che ci sono cascata di nuovo e quando prima di partire a un collega runner che mi aveva chiesto cosa mi aspettavo avevo avuto il coraggio di rispondere che speravo di stare sotto le 3 ore. Un secondo dopo mi sono pentita, vittima di quella mania tutta italiana della scaramanzia che mi faceva pensare che avrei dovuto stare zitta, farmi la mia gara, godermi il paesaggio (magari senza la schiavitù del Garmin, come mi aveva consigliato la solita amica) ed essere contenta di dare il massimo. Ma come ben sapete tornare indietro proprio non si può ed eccoci arrivati al 1° giugno. Complice una settimana di poco sonno e una certa indulgenza gastronomica la sera prima (per i dettagli si veda un altro post…) la mattina della partenza (nonostante le previsioni pessime, benedetta da un tempo perfetto per correre, fresco, ma senza pioggia) non sapevo davvero cosa aspettarmi e quando finalmente dopo lunga attesa è risuonato il via del nostro box (quello rosso, una decina di minuti dopo i migliori) ho cominciato a correre lentamente (non per la pendenza, ma per la massa dei partecipanti) per i 2 km di asfalto che ci avrebbero portato fuori Cortina, pronti ad imboccare lo sterrato nel bosco verso il passo. E qui la bella sorpresa, perché tutto sommato le gambe, benché un po’ rigide per il viaggio del giorno prima, sembravano tenere, il fiato pure nonostante l’altezza e quindi la voglia di prendere di petto la gara si insinua a poco a poco nella testa e nel cuore. 
Lo ammetto, ho deciso quasi subito di farmi la mia gara, dimenticandomi di chi mi aveva detto che avrebbe cercato di starmi dietro per tenere il passo. Del resto in amore e in guerra e nella corsa ogni tanto serve essere spietati. E per altro a me serviva davvero tutta la concentrazione che avevo a disposizione per dare il massimo. Metro dopo metro, mentre gli occhi andavano dall’asfalto al cielo, passando per il Garmin (perdono amica, non ho potuto farne a meno) e il bosco in cui ci siamo finalmente addentrati, ci ho preso gusto ad arrampicarmi per quella salita che tutto sommato sembrava meno terribile del previsto.
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Certo sassi e ostacoli (per lo più altri corridori, eravamo in tanti, del resto) non rendevano l’avanzare semplicissimo, ma il fiato c’era, e i piedi sembravano trovare la loro strada senza esitazione, regalandomi la gioia di non sentire mai il desiderio di fare qualche centinaio di metri al passo (come avevo invece preventivato). Va detto che la bellezza incedibile da cui ero avvolta è stato un ingrediente fondamentale, anche quando ho preferito tenere lo sguardo fisso sui sassi un po’ infidi, persa in mezzo a volti (e schiene) che non mi erano familiari, inutilmente alla ricerca di una maglia verde ramarro…
Chilometro dopo chilometro, tra boschi e gallerie, il passo sembrava avvicinarsi senza che la fatica riuscisse a piegarmi e man mano anzi trovavo le energie per tirare un po’ di più, sorprendendo prima di tutto me stessa per una forza che non sapevo di avere … e cominciando a pensare che dopo tutto, calcolando il recupero della discesa, forse il traguardo incautamente dichiarato non sarebbe stato davvero impossibile da raggiungere. 
Ho raggiunto il fatidico km 14 con lo stesso sollievo di tutti e una bella carica psicologica per affrontare il resto della strada, ma dopo i primi chilometri a scendere a ritmo sostenuto (un piacere e una sofferenza per i muscoli sollecitati dalla salita) ho cominciato ad accusare la stanchezza. Ed ero quasi sorpresa, perché si fa fretta a dimenticare che 30 km sono sempre 30 km e correre in discesa non è una questione di gravità, ma di controllo, prudenza, difficile equilibrio tra voglia di recuperare e necessità di misurarsi e misurarsi. Di qui una crisi che non mi aspettavo, i dolori sempre più forti alle gambe che mi hanno fatto intravedere lo spauracchio del crampo, un senso di spaesamento che toglieva il fiato tanto che intorno al km 24, pur sapendo che in fondo ci sarei arrivata (la gravità non è tutto, ma c’è…), ho cominciato davvero a soffrire. Oibò mi sono detta, vuoi vedere che la difficoltà della gara non è la salita, ma la discesa? A giudicare dalle facce di tanti “colleghi” è una scoperta che abbiamo fatto in tanti… Fortuna vuole che invece delle solite maglie ramarre da avvistare per tirare un arrivo, proprio a quel punto ce n’è stata una che mi è venuta incontro, con l’aggiunta di un sorriso e le giuste parole di sobrio incoraggiamento (e un giusto appunto alla mia patetica tecnica di rifornimento al ristoro). Del resto a me non servivano paroline dolci, ma forse un metaforico calcio nel sedere per capire che non si arriva fin lì per mollare. I dolori erano ancora lì, ma mentre la valle si apriva e Dobbiaco appariva finalmente all’orizzonte, c’era pure la voglia di sfidare lo scorrere dei secondi mentre un paio di chilometri al fianco di un’amica mi hanno permesso di rimettermi in linea con il “programma”. 
Lo ammetto, ho sofferto ogni metro di lì all’arrivo e non posso dire di aver fatto uno scatto per tagliare il traguardo, ma potete solo immaginare la soddisfazione di poter fermare il tempo sul quel bellissimo 2.59.49!!! 11 maledetti secondi che valevano  tutta la fatica e le fitte a gambe e giunture che non avevo avuto nemmeno dopo la maratona.  Finalmente la mente poteva mettere tra parentesi lo sforzo e far riscorrere la pellicola di tutta quella meraviglia attraversa nelle precedenti tre ore per riguastarla nei dettagli scolandosi una bella bottiglia d’acqua.
Aveva ragione l’amica: la Cortina Dobbiaco è una gara tosta, ma che può dare una quantità di motivazioni anche a chi come me non la affronta da atleta top, ma da runner da mezza classifica in cerca di sfide un po’ sopra le sue teoriche possibilità… Per questo sono grata a chi me l’ha proposta e per questo avrei voglia di tornarci.
Vorrei chiudere un lampo di sincerità… avrei scritto così volentieri questo post se non avessi chiuso entro le MIE 3 ore? Mi piacerebbe dire di sì, in omaggio a un autentico spirito sportivo, ma la risposta è… no! Questa volta non avevo nessuna voglia di rosicare e rimandare al prossimo anno l’appuntamento con l’obiettivo e quindi eccomi a mettere da parte la “correttezza" per dirmi per una volta “brava” da sola. E qualche volta ci vuole!

6 commenti:

  1. Alla fine del tuo racconto.... ho rosicato da morire. Spero di potermi unire a voi per la prossima avventura e condividere queste emozioni. Grazie Luisa

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  2. grazie! le aggiunte alla compagnia sono bene accette...la prossima pensiamo di farla verso sud...avrai notizie!

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  3. attendo speranzoso, amo tutto del Sud.... quasi tutto

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  4. http://www.maratonacoasttocoast.com/

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