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Si dice che in Italia siano
tutti allenatori e si parla di calcio, ma in realtà vale anche per il running… e
non dico di quelli che hanno i titoli e la passione di farlo per davvero, ma,
tanto per essere concreti, della sottoscritta, che di titoli e di esperienza
sicuramente non ne ha, ma che evidentemente è stata contagiata dalla stessa
malattia.
Mi spiego. Corro da qualche anno,
ma da meno di due in modo serio (facendo valere l’equivalenza probabilmente,
anzi sicuramente, scorretta di serietà = gare) e li ho passati a chiedere e
ascoltare consigli da tutti quelli che mi sembravano minimamente autorevoli (e
di buon senso).
Poi è bastato che una collega
d’ufficio, sapendo della mia passione per la corsa (e come non potrebbe visto
che ho sfoggiato la medaglia della maratona davanti a tutti e mi sono appena
percorso e altimetria delle prossime gare più impegnative sulla porta della
stanza?) mi raccontasse di una scommessa fatta quasi per gioco con il marito
(riuscire a correre una 10 km prima della fine dell’estate) perché in me
scattasse la molla di “passare dall’altra parte”. Di essere, per la prima volta, quella che dà
i consigli (su scarpe, abbigliamento, tabelle, stretching e respirazione), che
lavora sulla motivazione, che incoraggia e consola…insomma fa tutto quello che
altri hanno fatto per me.
Scoprendo che “introdurre” un
principiante (che a occhio nel giro di qualche mese andrà ben più veloce di me,
ma pazienza) al mondo della corsa dà una particolare soddisfazione.
Non solo quella forse ovvia di
sentirsi improvvisamente “quello che ne sa di più” su un argomento, ma anche
quella di seguire i progressi del proprio protetto/a, che un po’ ci ricordano i
nostri e ci fanno tenerezza (all’epoca la chiamavo frustrazione/esaltazione a
seconda se la giornata era sì o no).
Perché “allenare” (il termine è
esagerato, lo so, ma concedetemelo) in realtà ti permette di riflettere sulla
strada che hai fatto, ti fa capire la misura di quanto di piace correre e
parlare della corsa, di quanto questa “fede” sia diventata una parte importante
della tua vita (per me lo è diventata, lo ammetto, soprattutto per gli
incontri, per lo più belli, che ho fatto negli ultimi due anni) , al punto che
qualcun altro possa decidere di chiedere a te (invece che a qualcuno che ha
delle vere competenze) un consiglio o un suggerimento.
Forse perché quello che serve di
più a chi comincia a correre (a parte un buon paio di scarpe, ma questo, giuro,
è il primo consiglio che ho dato, non su modelli o tipologia, ma allungando gli
indirizzi di negozi di fiducia) è soprattutto vedere qualcuno che, anche quando
si lamenta di dolori e infortuni, poi ha sempre voglia di ricominciare ad
andare, ad immaginare piccole e grandi sfide.
E per chi corre già non è mai
scontato ricordare l’emozione dei primi 5 km o dei primi 10 km. Ed è un dono
condividere l’entusiasmo di un principiante perché ti aiuta a ritrovare il tuo
in un periodo in cui magari sei più stanco, o forse solo perché è bello
condividere una passione…e per qualche settimana illuderti di essere un
esperto!
E' vero, siamo tutti allenatori, la differenza con il calcio, però, è che in quel caso la maggior parte vuole 'sfoggiare' cultura calcistica ben sapendo che tanto non potrà mai verificare se quello che dice è giusto, nella corsa invece i riscontri sono possibili, e nella maggior parte dei casi c'è partecipazione emotiva con l'evolvere dei progressi.
RispondiEliminaC'è una soddisfazione nel veder raggiunto un traguardo da chi si sta 'allenando' (passatemi il termine) seguendo i tuoi consigli, cosa che con il calcio non può esserci.
Sono d'accordissimo Alberto... poi diciamola tutta, il calcio è un gioco, la corsa uno sport eheheh
RispondiEliminaVoglio sottolineare che "allenare" atleti già "avviati" o, comunque, con un bagaglio di esperienza e di performance già alle spalle, è stimolante e sfidante e, forse, ne potrebbe anche nascere un miglioramento personale (nel senso per il trainer) . Allenare, invece, "aspiranti atleti" o, come meglio dire, trasformare un jogger in un runner è cosa ben più ardua: la responsabilità è nettamente maggiore, perchè occorre bilanciare una serie di parametri, trasmettere una serie di "input" e, soprattutto, capire appieno carattere e obiettivi dell'allievo. Ogni suggerimento sbagliato e ogni azione non proprio appropriata ne influenzerebbe il futuro di "atleta". Allora, come coach, occorrerebbe capire se siamo in grado di trasmettere quanto di meglio possibile o se siamo là solo per fare i "fighi"....
RispondiEliminaInfatti la realtà è proprio questa, non tutti possiamo essere allenatori... Meglio essere un buon allievo che un cattivo maestro.
RispondiEliminaPurtroppo l'allievo spesso non sa cosa potrà trasmettergli il coach e, spesso, non è neppure in grado di valutare quanto per lui sia efficace o deleterio. Ognuno di noi, o meglio, ogni atleta, ha avuto il o i suoi coach: fortunato colui (o colei) che incontra quelli "giusti"... così magari, a sua volta, un domani potrà trasmette ad altri le stesse cose che ha imparato a suo tempo. Ma ricordiamoci sempre che un uomo di cultura (che sia di materie letterarie o matemaiche) non sempre è in grado di insegnare, cosi come un grande atleta non è detto sia in grado di allenare....
RispondiElimina...sagge parole...
RispondiEliminaCiro, hai ragione. Eccellere in un campo non vuol dire saper poi insegnare agli altri, ci vogliono qualità, anche umane, diverse.
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