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Per esempio
l’ora a cui è partita la gara di stamattina, la mia prima Albarace e il mio
primo arrivo allo Stadio…
Dopo un
weekend intenso (Race for the Cure e
lungo in salita per allenarsi alla Cortina-Dobbiaco), il pensiero quando alle
3.45 suona la sveglia è “Chi me lo ha fatto fare?”. Ed è di sicuro lo stesso
ritornello che mi sentirò ripetere per tutta la giornata da quelli che mi
chiederanno la ragione delle occhiaie e degli sbadigli… e che quando
infervorata spiegherò l’emozione unica di una corsa all’alba in mezzo a tanti
amici pazzi quanto me, cominceranno a guardarmi con la condiscendenza di chi
alle cinque e mezza dormiva il sonno dei giusti…
Non
importa, quel 5.30 è ufficialmente mio per la prima volta e, nonostante i
pensieri delle 3.45, non sarà probabilmente l’ultima. E non è per il cornetto
gustato sul prato dello Stadio dei marmi e forse nemmeno per le foto scattate a
ripetizione sul prato dell’Olimpico mentre una voce all’altoparlante cerca
inutilmente di riportarci all’obbedienza e a lasciare il campo (ma tanto il
campionato è finito e per il Golden Gala metteranno comunque a posto…).
Forse anche
un po’ per quello, ma anche per il sapore dell’aria umida del mattino, per il
fiatone nella luce incerta dell’alba, per gli automobilisti che passano e ti
guardano straniti, per i ragazzetti che mentre tu inizi a correre se ne escono
con la birra in mano dalla discoteca e si preparano ad andare a dormire. Non
sanno quello che si perdono quelli che alla sera non vanno a letto presto…
Ma 5.30 per
me, in questo periodo, è anche tutta un’altra cosa.
Dopo la
soddisfazione della maratona e l’euforia che ne è seguita, ho sperimentato un
calo di forma modalità “buco nero”. Non che io non abbia voglia di correre (o
se per quello fare qualunque altra forma di attività fisica, nuoto, bicicletta,
camminata in montagna…), ma la velocità sembra sparita dalle mie gambe.
Allenamento
dopo allenamento magari riesco ad incrementare i chilometri ma il Garmin, dopo
cadute tipo fossa delle Marianne ai 6.30 (e pure peggio) a km, sembra si sia
inchiodato attorno ai 6 e di lì non si smuove più di tanto… Sono le gambe ti
dici, magari pure il ginocchio che ancora non è proprio a posto, oppure il
fiato che scarseggia, magari pure qualche calo di ferro. La verità vera, però,
non te la vuoi dire neppure di nascosto, è
che c’è qualcosa nella testa che nei momenti più impensati ti dice “ma
chi te lo fa fare? Ma perché questa fatica? Perché ti vuoi male?”. Ecco, in
certi momenti la corsa diventa quello che non avresti mai voluto che
diventasse, una specie di punizione autoimposta anziché quella fatica amata e
abbracciata che hai imparato a conoscere.
Quando
questa situazione dura per un mese la tentazione è di pensare che forse quello
che ti ci vuole è una pausa. Una pausa dalle gare, una pausa forse proprio
dalla corsa…
Ma no, ti
dici, questa compagna di viaggio che in questo momento ti fa disperare proprio
non si merita questa “pausa di riflessione” da Peter Pan di scarso impegno. Piuttosto quello che ci vuole è umiltà e
testardaggine: umiltà di accettare che tante persone che superavi agevolmente
continueranno per un po’ ad arrivare prima di te (e se sei intelligente invece
di arrabbiarti ti conviene sfruttarle come lepri) e testardaggine nel credere
che prima o poi le gambe, il fiato e la testa di adegueranno a sto benedetto
cuore…
Allora
stamattina i 5.30 importanti sono due: l’ora della partenza ma anche il modesto
pace di questa gara, che non vedevo da chissà quanto e che ho scoperto è ancora
nelle mie possibilità.
Non è certo
il mio personal best, però fa intravedere la luce in fondo al tunnel.
È lui che
ha reso così buono il cornetto di stamattina e mi ha reso simpatiche anche le
occhiaie da panda che ho fissato allo specchio.
Perché come
disse Alfred a Bruce Wayne “L’ora più buia è quella che annuncia l’alba”.
Bella sorpresa, un bel modo per cominciare la giornata e soprattutto il lunedì
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