Premessa…
Tutti quelli che corrono, o almeno la stragrande maggioranza di loro, hanno
patito un infortunio. L'infortunio logora la mente più del corpo, ti entra
nell'anima. Ovviamente io non ho fatto eccezioni, ma circa un anno fa ero di
nuovo pronto a correre...
Classic
bell… così si chiama la suoneria che urlava dal cellulare nel
cuore della notte imponendomi di alzarmi e di fare il mio dovere,
anzi il mio piacere. Ore 05.10, schiena serrata, addominali in
tensione e gambe catapultate fuori dal letto, guardo Isabella e mi
piacerebbe rimettermi giù, ma non si può e non si deve. Scrollo la
testa come il cane fa con il pelo bagnato, dentro sento rumore di
vetri rotti e penso si tratti di sogni infranti. Ritto nel buio
raggiungo la cucina, fuori è notte, dentro di me è giorno, il mio
sole è tornato a splendere… troppi giorni al buio da dimenticare.
Preparo la caffettiera, preferisco la moka, mi da gusto
sorseggiare il caffè, questa sferzata di energia nera che mi accende
tutte le mattine, piccoli sorsi e il dispiacere di vederlo finire.
Scarpe, calzoncini e maglietta con su scritto RUN... sono
pronto.
Apro la porta e ho i brividi, stesso percorso, stessi Sampietrini, stesso travertino... quattro mesi fa vinse lui, oggi no, oggi vinco io. GPS… segnale valido… si parte. Mi sento forte, felice, ricomincio a correre. Roma all’alba è bellissima, San Pietro, il Colosseo, l’altare della Patria, ma tutto è contorno… oggi il paradiso è dentro me.
Il battito del tamburo che provocano i miei piedi sull’asfalto è ritmato, una cadenza regolare che accompagna il fiatone, breve rettilineo, curva stretta a destra e via per Cola di Rienzo, un furgone mi sbuffa accanto, qualche semaforo mi fa l’occhiolino, ma io me ne vado del mio, niente soste, niente pause.
La mente va a quel ginocchio che è tornato ad essermi amico, non fa rumore, non da dolore, lavora e fatica insieme a me e insieme a me imbocca via del Corso, provo ad allungare, la falcata diventa più lunga anche se di fiato ce n’è ancora poco, le braccia più alte e la schiena dritta… fuori tutta. Piazza Venezia si apre a miei occhi insieme alle luci del mattino, due marinai assonnati fanno la guardia al Vittoriano, per loro il giorno finisce all’inizio. Il pavé è duro, sampietrini e travertino, ma la cornice che mi corre a fianco è da togliere il fiato, anni di storia e gloria. Il Colosseo, gli giro intorno e sono a metà strada, sono un po’ affaticato ma non si può mollare nella corsa, si deve faticare e vincere contro se stessi, troppo facile dire “non ce la faccio più”. Mollo l’Impero e prendo la direzione dei Papi, su Corso Vittorio Emanuele II le forze mi tornano inaspettate e prendo a galoppare sulla strada abbandonando il sentiero del marciapiede. Un camion mi blocca la via per un istante imponendomi una sosta non voluta, mando a quel paese l’autista con un gesto evidente del braccio e riprendo a testa bassa. Sento nelle vene il sangue correre. La mente è lucida, il cuore batte e le gambe girano, è tutto qui… questa è la magia. Da San Pietro a casa la magia va pian piano svanendo, il traffico aumenta, i turisti cominciano ad impadronirsi della città, gli passo accanto e ci guardiamo incuriositi, sono immagini, solo brevi fotogrammi. Davanti al portone, mi scopro stanco, tonico e sudato, ma sono colmo di gioia non per il tempo ne per i chilometri, alzo gli occhi al cielo e vedo le rondini che volano, anche loro come me sono tornate a volare.
Apro la porta e ho i brividi, stesso percorso, stessi Sampietrini, stesso travertino... quattro mesi fa vinse lui, oggi no, oggi vinco io. GPS… segnale valido… si parte. Mi sento forte, felice, ricomincio a correre. Roma all’alba è bellissima, San Pietro, il Colosseo, l’altare della Patria, ma tutto è contorno… oggi il paradiso è dentro me.
Il battito del tamburo che provocano i miei piedi sull’asfalto è ritmato, una cadenza regolare che accompagna il fiatone, breve rettilineo, curva stretta a destra e via per Cola di Rienzo, un furgone mi sbuffa accanto, qualche semaforo mi fa l’occhiolino, ma io me ne vado del mio, niente soste, niente pause.
La mente va a quel ginocchio che è tornato ad essermi amico, non fa rumore, non da dolore, lavora e fatica insieme a me e insieme a me imbocca via del Corso, provo ad allungare, la falcata diventa più lunga anche se di fiato ce n’è ancora poco, le braccia più alte e la schiena dritta… fuori tutta. Piazza Venezia si apre a miei occhi insieme alle luci del mattino, due marinai assonnati fanno la guardia al Vittoriano, per loro il giorno finisce all’inizio. Il pavé è duro, sampietrini e travertino, ma la cornice che mi corre a fianco è da togliere il fiato, anni di storia e gloria. Il Colosseo, gli giro intorno e sono a metà strada, sono un po’ affaticato ma non si può mollare nella corsa, si deve faticare e vincere contro se stessi, troppo facile dire “non ce la faccio più”. Mollo l’Impero e prendo la direzione dei Papi, su Corso Vittorio Emanuele II le forze mi tornano inaspettate e prendo a galoppare sulla strada abbandonando il sentiero del marciapiede. Un camion mi blocca la via per un istante imponendomi una sosta non voluta, mando a quel paese l’autista con un gesto evidente del braccio e riprendo a testa bassa. Sento nelle vene il sangue correre. La mente è lucida, il cuore batte e le gambe girano, è tutto qui… questa è la magia. Da San Pietro a casa la magia va pian piano svanendo, il traffico aumenta, i turisti cominciano ad impadronirsi della città, gli passo accanto e ci guardiamo incuriositi, sono immagini, solo brevi fotogrammi. Davanti al portone, mi scopro stanco, tonico e sudato, ma sono colmo di gioia non per il tempo ne per i chilometri, alzo gli occhi al cielo e vedo le rondini che volano, anche loro come me sono tornate a volare.
Nessun commento:
Posta un commento