venerdì 12 dicembre 2014

"Tre è il numero perfetto" di Luisa Cotta Ramosino



Ci ho messo un sacco a scrivere questo post… Volevo che fosse qualcosa di speciale, per celebrare un po’ la fine di un lungo percorso (di maratone e non solo) cominciato con Roma e culminato con Firenze, un percorso alla fine del quale, lo ammetto, mi guardo e un po’ faccio fatica a riconoscermi. Io, che non sono mai stata una sportiva, io che alle medie ho rivendicato orgogliosamente il privilegio di abbandonare qualunque forma di attività fisica (a parte le gite con gli scout) per buttarmi a capofitto nei libri, io che lo sport non lo guardo nemmeno alla tv se non in occasione delle Olimpiadi, ecco, proprio io, sono arrivata in fondo a 3 maratone e nemmeno tanto male. Insomma, come avrete ormai capito ci ho girato intorno per un po’, poi ho deciso che ancora un po’ passavamo al 2015 e quindi mi sarei accontenta di un ricordo normale, che è un’urgenza prima di tutto mia, per non perdere le sensazioni e la soddisfazione provate il 30 novembre…
Avevo scelto Firenze prima di tutto perché è una città a cui sono molto legata (fin da piccola ci ho passato tanti week end, l’ho girata e scoperta e imparato ad amarla anche nei suoi angoli meno noti… insomma, la considero un po’ mia d’adozione), ma anche perché tanti compagni di lunghi (a partire dal Secco) ci avevano messo gli occhi come obiettivo autunnale.
Dopo due avventure affrontate con une bella dose di incoscienza, avevo deciso che questa l’avrei preparata come si deve. Immagino che a questo punto la frase dopo dovrebbe essere che non l’ho fatto…
…e invece no, salvo qualche piccolo dettaglio ancora da mettere a punto (tra gli altri l’alimentazione un po’ sballata proprio gli ultimi giorni, non senza conseguenze…) il programma è stato rispettato, devo dire soprattutto grazie alla presenza di colleghi e compagni di strada che mi hanno aiutato a tenere presente che davvero in questo tipo di sforzo l’improvvisazione (al contrario di quanto accade nel mio ambito di lavoro) non porta affatto a buoni risultati.
Già, perché ammetto che fino a fine estate avevo guardato con un atteggiamento tra lo scettico e il divertito le tabelle pubblicate dai vari maratoneti (ramarri e non). Sospetto che dipendesse molto dal fatto che a prenderle sul serio mi sarei resa conto di dover ripensare il mio modo di allenarmi e quindi di organizzare il tempo dedicato alla corsa. E in effetti così è stato.
È chiaro che per fare una buona seduta di ripetute prima di andare al lavoro bisogna alzarsi presto, molto presto. Ma è anche chiaro che se hai appuntamento con due o tre amiche che ti fanno compagnia (mia sorella non fa testo, lei la devo buttare giù dal letto io…) anche quando il cielo è ancora scuro e scende la pioggia, l’impresa diventa un po’ meno ardua. Meglio ancora se i compiti, anziché su una tabella impersonale sebbene attendibile, sono pubblicati di settimana in settimana da un maestro che si prende la pena di adattarla a te che sei un principiante e di spiegarti come portarla a termine in modo sensato.
E poi i lunghi, gli amati-odiati lunghi che soprattutto all’inizio, con una carenza di ferro che ancora mi porto dietro, sono stati una sofferenza non da poco, sudati e guadagnati convincendosi che ora della maratona le analisi sarebbero state a posto. Come è andata? Diciamo che è uno di quei casi in cui ha funzionato l’effetto placebo…
Insomma, siamo arrivati al gran giorno e devo dire che fatta la tara delle insicurezze, dei doloretti, della fame (già, perché dopo tanta ingegneria nutrizionale sono riuscita a sbagliare la cena del sabato e domenica mattina non è che potessi strafogarmi per compensare), del tempo (niente pioggia, grazie a Dio, ma tanta umidità e quasi troppo caldo) e di tutto quello che è variabile insondabile della Maratona, mi sentivo quasi pronta. Pure se alla fine sono partita proprio in fondo, per iniziare con Laura che era nella gabbia dietro la mia.Devo dire che in fondo è stato forse anche meglio così, perché c’è una certa dose di entusiasmo nel correre i primi km superando tanti altri runner senza nemmeno doversi sforzare, solo rispettando un ritmo e una tabella che portavo al polso.
Era il braccialettino di carta stile reparto maternità che mi avevano stampato il giorno prima al Marathon Village quelli dello stand Asics. Bastava dire qual era il tuo obiettivo ed ecco qui un bel “Pace your run” con indicati i tempi da rispettare ai vari cancelli, una serie di traguardi intermedi che mi hanno aiutato molto in termini psicologici ad affrontare la gara, specialmente visto che ho avuto l’ardire a puntare a un 4h10’ che forse era un po’ azzardato…Scaramanticamente avrei voluto tenere per me quell’obiettivo, ma ho una sorella con la lingua lunga e quindi ora della mattina dopo metà dei ramarri presenti (e anche qualche assente) era già a parte di quel bel segreto di Pulcinella… pazienza…
Ma Firenze è una maratona dove non è così’ assurdo azzardare. È piatta, ma mai noiosa, con il suo percorso che si snoda dal centro verso una periferia per nulla brutta, verso il parco delle cascine che con i suoi segni per terra si fa riconoscere come luogo di allenamenti per i locali. Una maratona che le twins hanno affrontato appaiate, e che io personalmente ho gestito con l’attenzione di non accelerare troppo nella prima metà per arrivare con un po’ di benzina verso il finale. Non è stato semplice. Gli allenamenti mi avevano dato una baldanza che non era sempre facile tenere a bada, ma essere in due in questo caso aiuta e così i primi 20 km sono passati con piacere (per un bel po’ ho anche rinunciato alla musica per ascoltarmi un po’ di più), in attesa di incrociare Anna e Giovanni che ci aspettavano a metà gara. I ristori ben organizzati, la gente sulla strada a incoraggiare fin dal mattino presto (comprese le nonnine 90enni che chissà cosa pensavano davvero di noi…), rispettosa del passaggio dei runner come raramente capita a Roma e dintorni, i pacer che facevano il loro lavoro senza sgolarsi come dei folli, insomma, proprio una bella gara.
Inutile negare che comunque la fatica c’era tutta, ma intravedere Anna e Giovanni sul Lungarno mi ha regalato una scarica di adrenalina utilissima a scavallare il traguardo dei 21, addirittura con un paio di minuti di vantaggio rispetto a quanto indicato sul braccialettino. Cose da farti annusare un PB che non osi sperare….
E subito la realtà viene a ricordarti che sei solo a metà. Ecco dunque un bel dolore intercostale che ti costringe a rallentare, sperando che respiri profondi e molta calma ti rimettano in carreggiata. Nel frattempo ti distrai guardando la varia umanità che condivide la tua avventura, tra cui un tizio vestito da frate francescano, con tanto di saio e croce di legno…ma per fortuna regolamentari scarpe da running. E subito pensi che per pazzo che tu sia c’è sempre qualcuno che è messo peggio di te…forse.
Comunque sia il dolore passa (o meglio viene sostituito da altri che si fanno sentire in varie parti del corpo, come da manuale) e si riprende come da programma, lanciandosi verso i 30 km e il centro storico, la parte più bella anche se più faticosa. Qui le strade mie e di Laura si separano. Lei accusa un po’ di fatica (sempre la fatidica cena sbagliata e più avanti qualche crampo) e io sono un po’ egoista, ho voglia di provarci a stare dietro al braccialettino…
Mi aiutano le strade, le piazze i monumenti che per me hanno un valore speciale. Sarà un caso ma in questo periodo lavoro su due progetti audiovisivi ambientati a Firenze (uno nel Rinascimento, l’altro nel Novecento) e così ogni posto mi racconta qualcosa o qualcuno, mi apre un mondo che dà a ogni metro un sapore particolare. È divertente pensare che dove io batto le mie scarpe da running i Medici chiacchieravano con Donatello, o alzavano gli occhi al Duomo  a cui ancora mancava la cupola che avrebbe disegnato Brunelleschi…
Storia e storie che sono il mio pane quotidiano e mi accompagnano almeno fino al 40^ km, orgogliosa di non aver mai camminato se non due passi ai ristori per bere senza strozzarmi…lì dove inizia la parte della gara dove conta il cuore più che le gambe…
Ci arrivo con un pensiero incongruo e un po’ futile. Ricordo che all’arrivo di Roma nelle orecchie mi risuonava la voce del Boss, un The rising molto appropriato per la circostanza, che a Tromso gli Abba gridavano i loro Kisses of fire incuranti del freddo del sole di mezzanotte, e ora?
Ora sempre gli Abba, ma con Cassandra, dedicata a quella sfortunata fanciulla che prevedeva disgrazie senza essere mai creduta…Insomma, non esattamente benaugurante [è triste pensare che anche se allora non lo sapevo passando al fianco di quei lenzuoli bianchi per qualcuno, un runner come me, quel presagio si era avverato]…
Passo il cartello del 41^ e guardo il Garmin…ci siamo, quasi, potrei farcela…sono stanca, parecchio stanca, ma non voglio rinunciare, e allora  memore del mantra del coach Luca (“non pensare se ce la puoi fare perché stai già mettendoti in discussione, corri e basta”), mi ci metto di cuore e di testa, perché quelle ultime centinaia di metri li voglio fare correndo sul serio, accelerando, non per il tempo, ma per me stessa e per il piacere di quello che ho fatto nelle ultime 4 ore, perché tanto che importa che non sono mai stata una sportiva, visto che la maratona dopo tutto non è uno sport?!
Il traguardo a Santa Croce è bellissimo, e lo taglio con il sorriso (peccato che non c’è nemmeno una foto…), felice di quella felicità che per un attimo è solo tua e per questo vuoi tenertela stretta, e te la godi perché in fondo non hai nemmeno il fiatone e pensi che per una volta il lavoro serio paga, e che hai tanti da ringraziare, ma puoi anche, per una volta, ammettere di essere contenta di te stessa, di quello che hai fatto (4 ore, 9 minuti, 32 secondi, sarebbe stato da incidere…) e ancora potrai fare con il cuore, la testa e le gambe che finalmente sono una cosa sola.

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