giovedì 23 ottobre 2014

I am Carlo

La mia maratona ad Amsterdam è iniziata a Valencia, dopo aver chiuso la mia prima esperienza sulla distanza di Filippide in 4h e 25m. Mi rodeva da morire, era la mia prima maratona e l’unico obiettivo che mi ero posto era quello di arrivare, ma in realtà… sotto, sotto… sognavo di iniziare almeno sotto le 4 ore. Quindi quei 26 minuti in più, corsi con estrema sofferenza, proprio non mi andavano giù. Tornato dalla Spagna quindi ho preso il calendario cercando  la prima maratona “utile” per la mia personalissima riscossa. 
Amsterdam!! Perché no, una bella città da visitare e una bella maratona da correre e soprattutto un anno intero per migliorare. Con 11 mesi di anticipo mi sono iscritto, scatenando anche l’ilarità di molti, ma in fondo sono così, su certe cose sono deciso… su altre molto meno.
Con tanto anticipo ho posato l’idea di Amsterdam in un cassetto e l’ho chiuso, per poi riaprirlo il 1° luglio.
La cosa logorante di una maratona è la preparazione, correrla è molto più facile, sono “solo” 42 km.
Prepararla invece, soprattutto nei mesi estivi, è faticoso. 
Caldo, afa, mare, bibite, gelati… tutto ti porta fuori dal seminato, troppe tentazioni. Ci vuole testa. Alla fine dei conti, prima della partenza, ho potuto farmi pochi rimproveri, ho dato il massimo in allenamento, in termini di impegno e dedizione. Diciamo che al nastro di partenza ero quasi in forma. 
Pre-gara
Della città e dei suoi abitanti ho capito poco. Biciclette lanciate a folle velocità con l’unico obiettivo di portarsi a casa almeno la gamba di un pedone, coffee-shop tristi e dismessi, e un quartiere a luci rosse che regala immagini di caricature femminili esibite non si sa per chi, in vetrine squallide e davvero poco allettanti.
Amsterdam comunque è molto di più, è un senso di civiltà e cultura diffusa in ogni strada, eleganza e accuratezza, una donna affascinante avvolta in un impermeabile grigio.
Il giorno della gara, dopo un piatto di spaghetti in bianco della sera precedente (sul quale bisognerebbe scrivere trattati di pace tra i popoli), inizia molto presto… anche troppo. Lauta colazione, partenza decisamente anticipata per lo stadio olimpico e luci dei lampioni ancora accese. Sul posto arriviamo davvero presto, ci siamo solo noi e i bagni chimici.
Lo stadio olimpico con il passare dei minuti diventa una specie di formicaio. Migliaia di corpi si accalcano sui banchi del deposito borse, file ai vespasiani e orde di runners che vagano in cerca di minuti da perdere in attesa della partenza. In tutto questo io mi perdo. Sono più rilassato dei giorni precedenti, la tensione accumulata è come svanita via, ormai non rimane che correre e questo lo so fare. Il resto dei miei compagni viene fagocitato dal caos generale e io mi ritrovo da solo alla ricerca della mia griglia... quella arancione.  Entro nel fiume di gente che lentamente si dirige all'interno dello stadio. Dallo start alla mia partenza passano almeno 10 minuti. 
Arrivo zona maratona
La gara è particolare, soprattutto all'inizio,  strade strette e troppa gente davanti, il ritmo che mi ero prefissato va subito a farsi benedire, cerco in ogni modo di rimanere calmo, di non "strappare", ci sono 42 km da correre e tanto tempo per recuperare. Nei primi 7 km il pensiero fisso che ho è quello di ritirarmi, le gambe non vanno, il marsupio pieno di malto-destrine continua a sbattermi sulla vescica, Fabrizio che lentamente se ne va. Alzo gli occhi al cielo e dietro il tetto di una casa si affaccia un tiepido sole e mi domando quanto tempo ci impiegherà per fare il suo lavoro e scaldare un po' l'aria. Nelle cuffiette Gino Paoli comincia a cantare... "che cosa c'è..." e tutto cambia. Mi rilasso, al 10mo decido pure di espletare un bisognino e da quel momento la gara diventa tattica, mi metto in attesa. Il mio fisico risponde egregiamente,  sento che potrei spingere però mi trattengo. Il percorso (non eccezionale ndr), ci porta 
Il canale
fuori città, lungo un canale dove la strada è ancora più stretta. Il cielo grigio si specchia nell'acqua e il freddo si fa più intenso. Prima di ogni ristoro faccio attenzione a consumare le "malto" per poi deglutirle meglio con l'acqua. Al 17mo mi scuoto e decido di cambiare passo, mi sento la gamba calda e ho voglia di provarci. Mi sposto sulla sinistra e do una sferzata decisa all'andatura, abbasso 20 secondi a km e mi porto sui 5'. I miei compagni davanti a me non si vedono e penso che stanno facendo una grandissima prova, io continuo ad andare del mio e a sfilare di fianco al serpentone dei corridori. In lontananza intravedo Fabio e Fabrizio, mi sembra quasi di commettere peccato nel superarli, sto un po' con loro e con un ragazzo della Lazio runner che comincia a chiacchierare. In cuor mio ho voglia di andare, li saluto e penso che probabilmente sto facendo una sciocchezza e sto serrando troppo i ritmi. Nelle orecchie tutta la musica di mia madre, dai Ricchi e Poveri fino a Little Tony, sarà strano, ma mi danno una carica! Dopo di loro affianco un ragazzo che sulla maglietta porta una scritta "Dad it's for you - 19/10/2013", gli alzo il pollice in segno di approvazione e vado avanti.  L'unico suono che riesce a sovrastare il volume alto delle cuffiette è la voce di Peppa che urla il mio nome, un sollievo per gli occhi. 
Integratori Olandesi
La prima leggera crisi la sento al trentesimo chilometro. Prima del ristoro butto giù una boccetta Enervit e subito un forte dolore al fegato e alla milza mi piega in due, stringo i denti e tengo duro... davanti a me c'è Claudio. La sua corsa non è brillantissima, gli do una pacca sul sedere e tiro dritto, è un combattente e so che terrà duro fino all'arrivo. Nella mente divido la gara in tanti piccoli tronconi, comincio a giocare con la matematica. Penso e ripenso a quando arriverà la crisi, perché tanto prima o poi arriverà. Mi fa forza il ricordo del Direttore mentre mi spiega la teoria del non stare troppo sulle gambe e degli ultimi km più alti sulla media generale. Inevitabilmente, come da copione,  "il muro" arriva e coincide con la vista di Francesco che procede lentamente a lato della strada. L'impossibilità di aiutare un amico in difficoltà mi pervade di un senso di impotenza disarmante. Questa immagine, inaspettata e quasi irreale, mi sconforta e mi butta giù. Riprendo a commettere il più vecchio dei miei errori, abbasso il tronco in avanti e accorcio la falcata. Davanti a me ci sono 4 km e mi sembrano interminabili. A ogni passo faccio sempre più fatica, ai lati della strada il gruppo di persone che cammina aumenta e spero con tutte le forze di non farne parte. Un prurito al polpaccio sinistro accende un altro campanello d'allarme, i crampi sarebbero la resa definitiva. Al 41mo chilometro, come da tradizione, tra il mio Garmin e i cartelli chilometrici ci sono circa 500 metri di differenza, un'infinità. Prima di entrare dentro lo stadio vedo Lise e Luca, ma non riesco a vedere Maria. Il rosso della pista d'atletica mi tira fuori le ultime energie per chiudere gli ultimi metri che mi dividono dalla linea d'arrivo. Alla fine chiudo con 3:47:20, il mio personal best. 
Spesso mi capita, al termine di una maratona, di sentirmi svuotato nelle motivazioni, di avere bisogno di ricaricare le batterie, questa volta invece non è così, mi sento carico e pronto a ricominciare a faticare. Ho deciso che per il momento accantonerò in parte la corsa per dedicarmi ad altri sport. Ho bisogno di sentire il cambiamento, dopo tanti anni è giusto guardare altrove e cercare nuovi stimoli, nuove persone da conoscere e nuovi colori da indossare.... forse.


4 commenti:

  1. E finalmente, eccolo di nuovo tra noi! complimenti per il PB ma soprattutto per lo spirito...e allora buone pedalate e buone bracciate!

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  2. che bello Carlo risentirti così soddisfatto. puoi prenderti il tempo che ti serve per disintossicarti e ricominciare più carico che mai. questa Amsterdam è la dimostrazione che la vita e la corsa ti sorprendono sempre e allora vale proprio la pena aspettare la prossima svolta, la prossima strada e la prossima sfida. complimenti!

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