mercoledì 3 febbraio 2016

Luci spente



Dopo la Tre Comuni, corsa ad un ritmo decisamente blando, l’appuntamento con la Miguel ha suscitato in me una tensione decisamente maggiore. In accordo con Stefano era giunto il momento di metterci un po’ alla prova e vedere a che punto della preparazione siamo. Poco importa il carico di lavoro, solo un test di verifica, gli appuntamenti importanti sono altri.
Negli ultimi allenamenti la velocità l’ha fatta da padrona (se velocità si può chiamare il mio passo), a discapito forse della resistenza, ma queste sono mie supposizioni suffragate dal nulla.
Come di consueto il sabato sera è il momento dedicato alla preparazione.
Su tavoli, letti, divani e quant’altro, all’interno di centinaia di case, vengono distesi accuratamente calzoncini, calzini e canottiere… poi il pettorale, da posizionare con millimetrica precisione utilizzando le solite quattro spille da balia. Le scarpe… pulite o impolverate, fedeli compagnie di centinaia di chilometri. Tutto dentro uno zaino e poi… poi si spegne la luce. E la testa vola. Vola al pensiero di quale ritmo gara tenere, su che temperatura ci sarà il giorno dopo, quale maglia indossare… manica lunga o corta?! Su questi pensieri quasi sempre mi addormento e quando li riapro è già tempo di gara.
Il primo appuntamento per me è sempre con la mia caffettiera. Nero e bollente da sorseggiare, così mi piace il caffè, provo disgusto per le cialde. Fette biscottate con il miele e un po’ di frutta e sono pronto a volare giù per strada. Nel breve tragitto verso la zona del foro italico incontro poca gente. Non fa freddo e questa è un’ottima notizia.
Insieme ad Andrea e Francesco raggiungiamo i gazebo delle nostre associazioni. Come sempre la podistica e solidarietà è organizzata alla perfezione. Siamo tantissimi, oltre 450 atleti e primo posto nel conteggio delle società. Dopo i soliti convenevoli, ci portiamo dentro lo stadio dei marmi per effettuare qualche minuto di riscaldamento. La cornice che offre questa gara è paragonabile a poco altro al mondo. Peccato che a causa di un crollo il percorso abbia subito un radicale cambiamento.
Davanti alla Farnesina la confusione regna sovrana. Lo speaker che si sgola per richiamare all’ordine i top runners più indisciplinati e infine la partenza. Il solito treno che si mette in moto. Doppia curva a destra e siamo sul lungotevere. La strada si allarga e si potrebbe cominciare subito ad un ritmo importante, ma preferisco stare coperto. Davanti vedo Salvatore, sta diventando forte e decido di seguirlo per un paio di chilometri. L’ordine dall’alto prevede un’andatura sui 4’10/4’15 a km, come sempre il ritmo in partenza è più alto rispetto alla realtà dei fatti e mi va benissimo.
All’ennesima curva entriamo nella zona del Coni interdetta al traffico. Il percorso è accidentale e ad ogni “sterzata” c’è il rischio di cadere. Mi precede di pochi metri un mio ex compagno di squadra, è decisamente più forte di me, ma decido lo stesso di mettermi “a ruota” e di mollare il passo di Salvatore. Supero tanta gente, sono soddisfatto.
Fino al quarto chilometro  tengo botta, nonostante il mio naso sia completamente chiuso e sulla faccia abbia un dito di sale, non sento neanche il bruciore dl sudore negli occhi, dopo di che, su un leggero strappo in salita con un tornante non segnalato, le gambe mi piantano. Non riesco a rimettermi allo stesso passo. Nella corsa ci sono momenti inspiegabili. Momenti dove tutto si spegne. Come il cruscotto di una macchina che a un certo punto viene privata della batteria. Tutte le luci si spengono e prevale solo un senso di negatività. “Non ce la faccio più” diventa una sorta di karma autodistruttivo. L’unico pensiero che mi consola sono i 9,3 km del percorso… quei 700 metri in meno alimentano la speranza di riuscire ad arrivare senza fermarmi… e pazienza se alla fine la media sarà più alta. Con questi pensieri nella mente, ho continuato a correre fino ad arrivare sotto alla Stadio Olimpico. Mentre corri e da dietro sopraggiungono altri corridori che ti sfilano, lo sconforto e devastante, pensi solo “ora mi ripassa quello stronzo di….” e stringi i denti cercando di non mollare, ma poi quello ti passa…
A meno di un chilometro dal traguardo, da dietro sento Francesco che mi urla “daje Carlo”, ha ancora una corsa brillante, gli dico di andare perché sono cotto, ma lui mi sprona a non mollare e si mette al mio fianco fino alla fine. Sulla pista d'atletica dell'olimpico, a pochi metri dall’arrivo, mi prende la mano e tagliamo il traguardo insieme. Chiudiamo in 38’07, tutto sommato dovrei essere soddisfatto. Troppa sofferenza. 4’06 di media e le direttive del coach centrate in pieno (compresa quella di non voler vedere facce sorridenti dei membri del Panda Team dopo l’ottavo chilometro). In realtà di soddisfazione in me ce n’è davvero poca, avrei preferito una gestione della gara diversa, meno negativa.
Dove vada a sparire tutta quella fatica e tutta quella sofferenza, una volta passato il traguardo, rimane un mistero. Rimangono solo sorrisi e gente allegra.
Nel raccontare le mie gare, mi accorgo che spesso mi trovo a dire le stesse cose, a provare le stesse sensazioni, stati d’animo altalenanti, momenti di entusiasmo seguiti da attimi di puro smarrimento. Eppure le gare sono sempre tutte diverse, ogni volta è una scoperta nuova. La costante è sempre quella leggerezza amarezza che sia ha nella constatare che un’altra gara è finita.
Questo treno fatto di passione e colori proseguirà verso la prossima tappa. Il mio obiettivo futuro sarà la mezza maratona di Terni. Un test in previsione della Roma Ostia… nel frattempo buona corsa a tutti, soprattutto a te Miguel.

4 commenti:

  1. ...e allora vedi che non era un'illusione ottica la mano nella mano ?! Complimenti Carlo, tu sei sempre ipercritico con te stesso e fai bene, ma i risultati si vedono! ci vediamo a Terni!

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    1. grazie Luisa... l'importante è divertirsi e riesco ancora a farlo :)

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  2. ah Carlo in questo periodo come lo capisco quel sentimento improvviso del non ce la faccio... era una vita che non lo provavo più pensavo di aver ormai imparato a gestire le gare ma invece evidentemente certe cose non si acquisiscono mai definitivamente...

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