lunedì 26 ottobre 2015

Pettorale 140




Il mio primo appuntamento con il triathlon si svolse a Capodimonte. Ero completamente sprovvisto di ogni nozione su questo sport. Ricordo che cominciai a preparare il materiale per la gara il venerdì precedente. Sono passati quattro mesi da quel mio esordio, non ho fatto molta esperienza, ma qualcosa in più la so e per questo riesco a prepararmi il giorno stesso della gara, riuscendo a non dimenticare nulla. Anche la sveglia è cambiata radicalmente, meno traumatica. Quello che non è cambiato è il viaggio. Una o due ore di macchina ci vogliono sempre per raggiungere la tappa tanto desiderata e agognata.
Roma - Sabaudia, s.p. 148 "Pontina", 100 km ca., un'ora e mezza da passare su questa brulla lingua d'asfalto. Il viaggio mi piace sempre. Musica a cannone, telefonate agli amici e una sana strizza pre-gara. Il mio borsone nero a fianco e la bici parcheggiata nel portabagagli. Tutto come da copione.
Sabaudia appunto. Ultima tappa della mia prima stagione nel triathlon e per non farmi mancare nulla... arrivo in ritardo. Per fortuna Gigi e Bruna sono ad aspettarmi in piazza, con il mio pettorale e il mio ben fornito pacco gara (una bottiglietta d'acqua e una crostatina alla marmellata).
Ore 11.45... la zona cambio ha già aperto da una quindicina di minuti, insieme agli altri ragazzi della Podistica decidiamo di raggiungere la litoranea, dove si svolgerà una buona parte della gara.
La zona cambio ai miei occhi si presenta decisamente "povera".
Due file parallele di tubi innocenti, con appollaiate una sfilza di biciclette che ricordano le galline di un pollaio stipate all'inverosimile. Tra le due colonne uno spazio striminzito dove gli atleti passano a traffico alternato. Posata la bici e le scarpe, dopo un bagno di vasellina, indosso la muta e mi dirigo verso il mare.
Una decina di metri di dislivello tra sede stradale e spiaggia, da coprire in sessanta scalini di legno.

Il mare è semplicemente perfetto, un leggero movimento a ricordare che è vivo, con quella piccola onda che si alza a pochi metri dalla riva per poi infrangersi su un muro invisibile, e poi ancora... e ancora. La maga circe alla nostra sinistra osserva, sorniona, con il suo occhio vigile e la sua bocca spalancata. Siamo meno atleti rispetto a Ostia, ma conta poco. Uno degli organizzatori ci spiega il percorso e ci informa che in acqua ci sono molte meduse.
Poi il via...
Alla terza uscita posso dire di non avere più paura dell'acqua, anzi, ad un certo punto mi sono ritrovato a gustarmi il fondale, incuriosito dal fatto di riuscire a vedere il fondo e poi... eccola lì, questa macchia azzurra e bianca con i tentacoli, una medusa. "Merda!!". L'unica cosa che sono riuscito a pensare. Nell'uscita dai primi 750 metri a nuoto, in quel breve tratto di spiaggia prima di ributtarsi in acqua, il pensiero è sempre lo stesso "solo altri 750 e poi è fatta".
Il nuoto è davvero il mio punto debole, quindi mi illudo che finita la frazione in mare, il resto sia in discesa... ovviamente non è così. Dentro l'acqua studio e ripasso... angolo del gomito, ingresso della mano, dita chiuse, ma poi la realtà è un'altra... più simile a una rissa da bar. Gomitate, calci, culi da oltrepassare... di nuoto nelle retrovie c'è veramente poco.
Il numero dei "fantasmi" in acqua aumenta tra la prima e la seconda boa, tante meduse a pochi centimetri dalle nostre bracciate, laggiù nel fondo del mare.
Quando entro in zona cambio la prima cosa che noto è il numero delle bici, mi rendo conto di essere in mezzo al gruppo. La fila di destra è quasi vuota, quella di sinistra è quasi piena. Mi rode abbastanza, speravo di essere andato meglio. Parolacce a non finire mi passano nella testa. Salgo in sella e dopo qualche attimo di freddo, comincio a pedalare, cercando di non strafare. Mi si affianca un ragazzo della Minerva e mi chiede collaborazione per rientrare su un gruppetto davanti a noi di cento metri. Duro circa tre minuti, dopo di che scoppio e mi rimetto alla mia andatura e lui se ne va. Resto in attesa di un gruppo più cospicuo che mi faccia da traino. All'inizio mi accontento di rimanere a ruota a due ciclisti con un passo decisamente migliore del mio, fino a che un gruppone ci avvolge tutti e tre spingendoci ad un'andatura decisamente più forte. Siamo in tutto una ventina. A differenza delle altre volte sento che le gambe non vanno, vorrei dire semplicemente "chissenefrega" e mollare tutto, girare i tacchi e tornarmene a casa, l'unica cosa che riesco a fare è bere con avidità i sali dentro la borraccia, nella speranza che mi diano una sferzata di energia. Nei momenti di crisi esistono solo pensieri negativi, poi ne esci fuori così... quasi per caso, la "macchina" riprende ad andare senza una segnale particolare, solo per sopravvivere.
Uno nella pancia del gruppo urla i tempi per assemblare una "catena". Ognuno ci mette del suo, si creano due file... a destra si sale e a sinistra si scende. Non c'è una perfetta intesa, ma riusciamo comunque a procedere a una buona velocità. Il percorso in bici è tipico da triathlon, un rettilineo, due boe e un continuo andirivieni, dove riesci a capire quanto perdi o quanto guadagni rispetto al gruppo che ti precede.
Ogni tanto con lo sguardo incrocio Rogerio sul versante opposto della strada, è la punta di diamante della squadra, procede solo e mi chiedo come faccia.
A duecento metri dalla fine della frazione bike, sfiliamo tutti le scarpe e ci apprestiamo a scendere dalla sella. In zona cambio non sono mai rapido, sono ancora molto inesperto. Alla fine esco, con le scarpe da running ai piedi, ultimo del mio gruppo. Poco importa, nella corsa posso anche andare da solo, so quello che devo fare.
Prima di entrare nel circuito dei quattro giri, passiamo sopra il ponte di ferro di Sabaudia. Il lato, il monte... Sabaudia è davvero bella.
Il caldo e il sole alto nel cielo si fanno sentire. Riesco a chiudere i primi tre giri ad una discreta andatura, nonostante i continui cambi di direzione e gli strappi in salita non siano il mio massimo.
Nell'ultimo giro cedo alla crisi. La milza sembra voglia uscire fuori dal fianco, il sale sulla faccia sembra uno strato di creta e le gambe accorciano autonomamente la falcata. Davanti vedo un altro ragazzo della Podistica e non faccio altro che seguirlo, anche se il suo passo è migliore del mio. Il "budello" della frazione di corsa è per me devastante da un punto di vista mentale, è un continuo vedere e rivedere le stesse facce stravolte dalla fatica, sembra di essere dentro la metro "Spagna" di Roma... in testa speri solo che tutto finisca il prima possibile.   Alla fine passo sotto l'arco d'arrivo con 2h 23', mentre lo speaker annuncia il mio nome e il mio pettorale... 140 (14+0=14). Ho migliorato un minuto dalla prima uscita, ma non è questo quello che conta....
Al termine della gara, come Alice nel paese delle meraviglie che insegue il coniglio, sono fuggito di corsa a casa, con un po' di amaro in bocca... per non aver salutato tutti i compagni di squadra che con me hanno condiviso questa fatica. Alla terza gara comincio a sentirmi parte della squadra e peccato se non è arrivato il premio per il numero di partecipanti.
E' stata una gara bella, anche se piena di lacune da parte dell'organizzazione, ma il contesto... è soprattutto noi eravamo uno spettacolo da vedere.
Ora posso dedicarmi alla maratona di Firenze.... e il triathlon già mi manca.
Al prossimo anno!

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