mercoledì 14 ottobre 2015

Granfondo Campagnolo



La mia prima gara da ciclista inizia in un modo particolare, pastasciutta alle ore 04:15. Non è l'unica situazione nuova che devo affrontare in questa giornata strana. Mi alzo non al massimo della forma, i 24 chilometri di corsa del giorno prima, sotto una pioggia battente, hanno lasciato il segno... mal di gola e tosse e uno stato generale di influenza latente. Dopo la pasta butto giù una tachipirina da 500 e comincio a prepararmi. 
Salopette, manicotti, maglia della gara (misura completamente sballata), e tutto l'occorrente. Nel vestirmi commetto quello che, nel corso della gara, si rivelerà l'errore più grande... decido di non indossare la maglia a mezze maniche termica. In fondo la domenica precedente ne avevo fatto a meno e non ne avevo risentito. 
L'Appuntamento con gli altri è alle 06:15 a piazza Pio XI. 
Fuori è buio e c'è un discreto vento. Fa freddo. Un edicolante mi vede passare e mi guarda come se fossi matto. Qui è là incrocio ciclisti... tutti abbiamo la stessa meta.
Andrea e Fulvio sono già sul posto. Saluti di rito e insieme ci dirigiamo verso il Colosseo, da dove partirà la Granfondo Campagnolo di Roma. 
Man mano che ci avviciniamo al luogo di ritrovo, il numero delle bici cresce a dismisura. I monumenti in penombra regalano un panorama davvero suggestivo. In lontananza il sole sorge. 
La partenza di una Granfondo è simile a quella di una maratona, confusione, cazzeggio, dialetti e lingue straniere. Magliette colorate e tante diversità. 
Lo speaker blatera qualcosa che non capisco e in men che non si dica, come un treno a vapore, questo carrozzone si mette in moto. I primi minuti e chilometri passano quasi tutti fuori sella, facendo attenzione a non cadere tra le brusche fermate e le ripartenze, un piede penzoloni e uno attaccato ai pedali. Un giro intorno alla zona di partenza per fare un po' di coreografia fino a che, ripassando nuovamente su via dei Fori Imperiali, si comincia a pedalare da vero. 
In testa ho  i consigli del Doc..."pedala agile la prima ora", metto il 34 (corona più piccola) e vado via in un comodo "frullinare" di gambe.
Siamo in tre e cominciamo questa avventura. Lasciatoci alle spalle il G.R.A., la strada si mette subito in salita. Come sempre Andrea e Fulvio, hanno una partenza più brillante della mia. Io sono più lento a carburare e poi non mi sento affatto bene. Il naso completamente chiuso mi rende la respirazione affannosa. Sembro una carpa con il muso fuori dall'acqua alla ricerca di ossigeno. Lasciamo l'Appia per entrare prepotentemente in zona Castelli Romani. Il gruppone si sgretola subito complici un paio di ambulanze che urlano prepotenti di fargli strada... purtroppo lungo il percorso della gara i mezzi di soccorso avranno un gran da fare. 
Costeggiando il lago di Albano confesso ad Andrea che intendo rientrare a Roma con lui (60 km del percorso Imperiale), mi sento la febbre e chiudere i 120 km mi sembra impossibile. Da quel momento comincia la salita vera e i primi riscontri cronometrici. Quando la strada sale non amo salire sui pedali, preferisco mettermi del mio passo, seduto sulla sella e vedere dove riesco ad arrivare e spesso la mia tattica funziona. Come nella corsa, se sono più i concorrenti che superi rispetto a quelli che ti sorpassano, significa che stai andando bene. In cima a Castel Gandolfo ci salutiamo, Andrea riprende la strada per Roma e io e Fulvio continuiamo nella Granfondo, un moto d'orgoglio mi spinge ad andare avanti.
La strada per finire la gara è ancora tantissima e le pendenze più dure devono ancora arrivare.
Il ciclismo è strano! Ti regala dei momenti di sconforto puro, dove vorresti ritornare a casa  e non saperne più niente, alternati ad attimi di pura euforia. Io posso dire di essere stato fortunato. I momenti bui li ho vissuti tutti in discesa, con il freddo che mi ha abbracciato fino a dentro le ossa, per poi godere della sofferenza e della "calura" della salita. 
La gara prosegue principalmente con l'avantreno rivolto verso l'alto, qualche discesa e qualche falsopiano per rifiatare, fino alla prima dura prova... il "murus" di Rocca di Papa. Uno strappo secco con un tornante a destra al 16% di pendenza massima, roba da stirare le gambe per un novizio come me, ma nonostante tutto stringo i denti.... e vado su. Accanto vedo gente mettere il piede a terra, li capisco, ma in cuor mio mi dico che il piede giù non lo metterò mai! 
Scavvalata la prima montagna mi fermo qualche minuto al ristoro in attesa di Fulvio, ma sentendo il freddo aumentare e il sudore asciugarmisi addosso, decido di riprendere la via. Il tratto in discesa che ci porterà fino ai Pratoni del Vivaro sarà per me il momento più duro di tutta la gara. Un vero è proprio gelo... dentro e fuori.
Nei tratti in lieve discesa che mi portano verso la Tuscolana mi appiccico alle spalle di un russo con due polpacci grossi come meloni, un'andatura spaventosa la sua, fatico anche a stare a ruota, ma non ci penso proprio a mollare rischiando di perdere il vantaggio di questo "scudo umano" contro le raffiche di vento. 
A metà del percorso, con un folto gruppo di ciclisti, arriviamo alle ultime due vere fatiche della giornata. La salita di Rocca Priora, lunga 6 km con un dislivello finale al 13% (mi ha ricordato molto la salita della mezza maratona dei 3 Comuni) e il "Rostrum" di Montecomprati, una serie di tornanti con un tratto finale sui sampietrini al 18% dove nel momento di massimo sforzo ho pensato veramente di non farcela. 
Il secondo ristoro nella piazza di Montecompatri, dopo le ultime due salite, mi ha dato come l'impressione di una cessata ostilità, escluso qualche sali e scendi, il resto del tragitto in discesa, con il sole alle spalle è stato quasi una passerella verso l'arrivo. 
Cinque ore di bicicletta, con tutte le sensazioni, gli alti e i bassi, sono difficili da raccontare. I centinaia di flashback che la mente registra, vanno via insieme alla fatica nei muscoli delle gambe e delle braccia. 
Non si tratta di una vera e propria gara, è più simile a una sfida con la natura e con se stessi. Il ciclismo è vera solitudine, ci sono dei momenti in salita dove il silenzio è irreale, nonostante accanto a te ci siano decine di persone con la tua stessa sofferenza, nessuno può darti una mano. E il bello è farcela da soli.
Voltare pagina mi ha fatto bene....  


6 commenti:

  1. Bellissimo racconto Carlo, si vede che la bici ti sta dando le emozioni giuste visto che anche la penna ha una botta di vita notevole. Continua così

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  2. Bravo bravissimo.. a me sembra molto peggio di una maratona...e i 24 km il giorno prima?! Dillo che sei un po' matto. ..☺

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