lunedì 28 settembre 2015

Pettorale 194

Foto by Paolo Chessa


E’ un mio limite. La tavola, con le sue tentazioni, mi induce sempre a commettere peccato.
Nella mia vita sportiva il grande dubbio è, e rimarrà sempre, “quanto avrei migliorato le mie prestazioni con una sana alimentazione??!”. Non avrò mai una risposta a questo quesito, ma riuscirò a sopravvivere. Sono semplicemente un romano medio, a noi ce piace magnà… c’è  poco da fare.
L’arrivo dei parenti di mia moglie è quindi coinciso irrimediabilmente con una puntatina al ristorante di sabato sera. Poco importa che fosse vigilia di gara, non si può mangiare fuori casa senza accompagnare un lauto pasto con un buon bicchiere di vino… anzi due. Non dico di essere andato a dormire ciucco però, con grande probabilità, non avrei superato il test dell’etilometro, fortunatamente per me ero a soli due passi da casa.
La mattina seguente, svegliarsi è stato meno difficile di quanto pensassi, ormai il mio orologio biologico è puntato alle 06.20, i piedi di mia figlia Isabella incastrati sulle mie vertebre, hanno reso ancora più semplice la levataccia.
Sono un vero neofita del Triathlon, a tal punto che non so regolarmi neanche sull’orario giusto per arrivare in zona gara. La partenza prevista per le ore 13.30, mi concede il lusso di preparare tutto il bagaglio la mattina stessa. Presa la lista delle attrezzature ho cominciato a spuntare:

  • Muta
  • Body
  • Vasellina
  • Scarpe bici
  • Scarpe corsa
  • Etc. etc.

Chiusa la zip del borsone ho salutato la mia famiglia, con l’unico rammarico di non avere mia moglie al fianco.
Il viaggio è passato in fretta, Ostia è a soli 30 minuti di macchina. La zona gara ai miei occhi si presenta ancora un po’ scarna, i bagni di folla sono da gara podistica, il triathlon presenta meno atleti e meno accompagnatori. Lo speaker si da comunque un gran da fare per rendere l’aria festosa. Raggiungo l’inconfondibile gazebo arancione della Podistica e Solidarietà e saluto due monumenti della società... Gigi e Bruna. Siamo ancora in pochi.
Con il passare dei minuti il numero di atleti che girano tra stand e gazebi va via aumentando. Anche il caldo.
Dopo lo sprint di Capodimonte (mio esordio assoluto nel triathlon) rivedo Alessandro e Antonio, con loro ho un po’ più di confidenza e facciamo automaticamente gruppo.
Verso le 12.00 decidiamo di portare le biciclette (trovo la mia con una ruota a terra, per fortuna c’è un servizio di riparazione) e il resto delle attrezzature in zona cambio per poi andare a vedere le condizioni del mare. I giudici di gara visti i 21° dell’acqua rendono facoltativo l’uso della muta. Mare calmo e acqua della temperatura ideale. L’occhio cade sulle grandi boe gialle che, come sempre, mi sembrano lontanissime. Due giri. “Riuscirò a fare due giri?!”.
Il tempo passa e comincia il briefing e la spunta degli atleti… ormai ci siamo. Il mare nel frattempo comincia a muoversi e qualche onda in uscita rende più complicata la nuotata.
Penso a Chiara e Marco all’Elbaman, forse un giorno anche io…
Il conto alla rovescia e il fischio iniziale rompe ogni indugio. I primi metri vengono per lo più coperti correndo, fino alle prime bracciate c’è un discreto ordine, come si comincia a nuotare inizia la ressa.
Spesso mi hanno detto che in gara non si prova nulla, ma nonostante questo, commetto l’errore di utilizzare la muta per la prima volta, e la cosa mi da un gran fastidio. Dopo 200 metri mi fermo, ho i polmoni compressi e non riesco a respirare, penso addirittura al ritiro, ma poi mi guardo introno e penso che non posso tornare a casa dopo 200  metri. Prendo il collo della muta, lo spalanco e vado giù sott’acqua, sento il mare entrare dentro e questa prigione di neoprene aprirsi. Quando riemergo sono dietro, ma non demordo e riprendo a mulinare le braccia. In fondo lo so fare. L’unica cosa che vedo sono le mie mani. Non sono un grande nuotatore. Riemergo dall’acqua alla fine del primo giro con parecchia gente davanti. L’inizio della seconda frazione è anche più complicato, il moto ondoso si è fatto più forte e respirare tra un’onda e l’altra diventa complicato. La mia nuotata è decisamente più sciolta, c’è meno bagarre e cerco anche di curare lo stile, penso a Giulia che mi dice di nuotare portando le braccia all’esterno per prendere più acqua… lei si che è una campionessa.
L’uscita dell’acqua è rapida, anche se lungo i corridoi dello stabilimento balneare che ci ospita il rischio di scivolare è alto. In zona cambio sono sempre molto lento, ho paura di incappare in qualche penalità  o addirittura di essere squalificato.
Il primo dei quattro giri della frazione in bici ce lo siamo “sparati” sono una fitta pioggia. Tra un integratore e l’altro mi ritrovo nella pancia di un gruppo di almeno venti ciclisti ad una media di 40 km/h. Il ritmo è davvero buono e c’è un’ottima collaborazione in testa. Io mi metto a ruota, non ho ancora una gamba che possa permettermi di tirare a queste velocità. Qui e là qualche caduta, per fortuna nessuna conseguenza grave. Vedo pochissimo a causa dell’acqua alzata dalla ruota posteriore del tipo davanti a me. Uno strano rumore sull’avantreno della bicicletta attira la mia attenzione, ma non riesco a capire subito quale sia il problema, fino all’inizio dell’ultimo giro, dove mi accorgo che un portaborracce si sta staccando e vibra fortemente sul telaio. Commetto un altro errore… provo a stringere con le dita la vite di sostegno per non perderlo per strada, ma proprio in quel momento il gruppo aumenta l’andatura e io mi trovo staccato di una decina di metri e non riesco più a rientrare. Nella bici quando ti stacchi sei fregato, si abbassa la velocità e aumenta la fatica. Copro gli ultimi 8 chilometri spingendo al massimo, ma perdo comunque  terreno a vista d’occhio. Comincio a sentire un po' freddo, ma cerco di non pensarci. Rientro in zona cambio in solitaria, copro scalzo quei pochi metri che mi dividono dalla mia piazzola,  infilo le scarpe da ginnastica, sempre con molta calma e poi scappo via. In uscita non trovo subito l’ingresso del percorso e seguo gli uomini con le bandiere rosse che mi indicano dove andare.
Nella mia tabella mentale mi sarei accontentato di coprire i 10.000 di corsa a 5’ di media, anche considerando com’era andata a Capodimonte. Con mio stupore invece mi accorgo che la gamba gira, che il cuore batte a ritmi buoni e che tutto sommato… non sono neanche stanco!!
Non mi fanno impazzire i circuiti e il triathlon è tutto un circuito, ti capita quindi che mentre corri a 4’30”, e pensi di essere il dio dei venti, di fianco ti passi un tizio che ti svernicia a 3’20” e lo vedi allontanarsi in men che non si dica. Te ne fai una ragione e continui sul tuo ritmo. Nei quattro giri da 2,5 chilometri, non ho mai sofferto più di tanto, giusto un leggero dolore per una vescica sul piede destro. Ho cercato di curare ritmo e postura, sicuramente avrei potuto dare qualcosina di più, ma chiudere bene era il mio unico obiettivo. Concludo a 4’34” di media e  sono soddisfatto.
Il mio primo olimpico mi vede tagliare il traguardo in 2h24”. 
Subito dopo l'arrivo non avevo idea se si trattasse di un buon tempo o un disastro, poi scopro di essere arrivato 121° su quasi 300 atleti ai blocchi di partenza. Per essere la prima volta sono felice.
Sarà una coincidenza, ma ogni volta che il numero del pettorale mi piace le cose vanno bene. La somma di 194 fa 14… il mio numero preferito.
Il mio cammino per diventare un triatleta prosegue, prossima fermata Sabaudia.
Mi sarebbe piaciuto arrivare sotto il traguardo e vedere i tuoi occhi azzurri e magari sentirmi dire "bravo", anche se non ci sei più sei stato al mio fianco per tutta la gara. Mi manca la tua voce, ciao Pà!


6 commenti:

  1. Complimenti!! con il tuo racconto mi fai venir voglia di iniziare questa disciplina, anche se ci vuole un grande impegno anche troppo .. gli ultimi 10 a 4'30'' impressionanti!


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  2. Ma che bravo! Complimenti davvero!

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  3. complimenti Carlo! continua a mangiare e bere felice se i risultati sono questi

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