mercoledì 11 dicembre 2013

In vetta

Durante l’avvicinamento alla maratona, la mia prima maratona, ho immaginato nella mia mente il cammino verso questa impresa, perché tale è e rimane correre 42195 metri, come una corsa a tappe in montagna dove la mia cima “Coppi” è l’ultimo lungo, il famoso “lunghissimo”.
Ora sono in cima a quella vetta, in realtà ho più dubbi che certezze, ma credo che sia umanamente comprensibile, in fondo sono davanti alla mia prima volta per tutto quello che concerne una gara come questa. Davanti a me quindi dovrebbe esserci solo discese, Maratona esclusa ovviamente, però mi sento come se dovessi entrare in una stanza buia, i lunghi, 24, 27, 28, 30, 34 erano in fondo certezze, passi definiti che sapevo di dover percorrere, mentre tutto quello che viene dopo è sconosciuto è indefinito.
Continuerò con quello che ho letto, con quello che ho sentito e con quello che mi è stato consigliato. Mancano 20 giorni, meno di tre settimane, quando ci penso un lungo brivido percorre la mia schiena, non è solo una gara, per me è molto di più, è affrontare certe paure di cui non parli mai, neanche con te stesso.
So di potercela fare, ma non ho paura di fallire, comunque vada sarà un successo essere lì allo sparo. Il mio primo traguardo sarà partire.
Correvo ieri e nel silenzio della fatica pensavo dove mi avesse portato tutto questo, vedere posti mai visti e conoscere persone nuove, persone che come te condividono un amore che ti lega a maglie strette, un filo invisibile che senti indissolubile. Ho iniziato a scrivere queste righe mesi fa, nel frattempo è accaduto tanto, in realtà parlando della mia prima maratona è accaduto tutto. 4 ore e 25 minuti, non un tempo eccezionale, ma è il mio tempo, il mio sudore e la mia fatica. Ho avuto dolori forti, voglia di mollare e di maledire i miei sogni, ma poi mi sono detto che non è più tempo per fare il bambino, è tempo di crescere e ce l’ho fatta, sono arrivato sotto il traguardo dei miei primi 42 km. Ho trattenuto negli ultimi metri tutte le lacrime che avevo dentro per non far sfuggire niente di quello che mi stava intorno. Raccontarla una maratona non si può, è troppo intima, si può forse narrare un km o una parte di gara, ma tutte le emozioni che hai vissuto dalla partenza al ritorno non si possono scrivere. Mi accompagnano ancora oggi i suoni, i colori di questa avventura, ricordi… ricordi pieni di malinconia, è stato bello esserci, è brutto sapere che è passato.
Ora c’è Roma all’orizzonte, nuovi stimoli, diversi, meno interiori più agonistici, ho più voglia di vincere che di esserci.

Maratona di Valencia -  17/11/2013



domenica 13 ottobre 2013

4 km in mezzo al mare…

GDL, io e Checco



…svolto a sinistra lasciando alle mie spalle una rassicurante lingua d’asfalto. Davanti a me c’è solo terra, sole e polvere, i miei occhi guardano quello che la mente registra come qualcosa di doloroso, tutto sembrava andare per il meglio, ma poi... poi il crollo, lento e inesorabile. Il bianco… il ricordo più forte è il bianco di un sentiero di pineta, i sassi come lame sotto i piedi, il terreno duro da abbandonare ad ogni passo, come volesse trattenerti a sé. Le gambe che diventano più rigide e le ginocchia che stentano a piegarsi, il desiderio di vedere dietro ogni curva un traguardo che sai però essere ancora troppo lontano. Non sapere che carte giocare, sei in mezzo a tanta gente che fatica come te, ma in realtà sei solo e ogni persona che ti passa accanto ti vede scivolare via… sembra davvero di correre in mezzo al mare. Ti domandi com’è possibile, fino a pochi istanti fa eri tu a metterti loro alle spalle e poi?!?.... poi il crollo, lento e inesorabile. Il sudore scivola dentro gli occhi bruciandoli, cerchi di asciugarti la fronte, ma ti accorgi che ad ogni passaggio della mano è più bagnata di prima, l’ombra è l’unica amica che ti tiene compagnia e ti corre avanti spinta dalla luce del sole alle tue spalle, le labbra assetate si seccano ai lati e continui a leccarti la bocca in cerca di refrigerio. In lontananza vedi l’ultimo ristoro proprio all’inizio di un viale alberato, ogni mutamento del paesaggio è un sollievo, più per l’anima che per il corpo, ti fermi qualche istante per bere avido di sali minerali e acqua, poi però in testa rimbombano le parole di Stefano e Francesco “non ti fermare o non riparti più” allora subito metti un passo avanti all’altro e riprendi questa lenta processione verso l’arrivo, ogni tanto pensi di mollare, è un pensiero che scivola via... piuttosto crepo. Vedi il cartello degli ultimi 2 km e capisci che in qualche modo arriverai, qualcuno che si sente male al bordo della strada, vorresti aiutarlo, ma ne hai poca per te di forza e non puoi sprecarla per gli altri, tiri dritto.
L’ingresso allo stadio, non capisci bene se stai correndo o camminando, il ricordo del nome di Annalisa urlato dallo speaker che ne annuncia la vittoria tra le donne, l’arrivo, anonimo e sommesso, ma mai così tanto agognato. Per la prima volta ho conosciuto il lato oscuro della corsa, la fatica e il dolore li avevo già incontrati, la sofferenza no! Guardo l’orologio per la milionesima volta negli ultimi quattro chilometri, 2 ore e 47 minuti, mi verrebbe da pensare che tutto sommato per me potrebbe andare bene, invece no, ho l’amaro in bocca, sono deluso, in cuor mio oggi ho perso. Ritrovo i miei amici e scambio quattro chiacchiere con loro, il sorriso torna subito e pure la baldanza di poter dire che la prossima volta andrà meglio, faccio tesoro dei consigli e mangio qualcosa al ristoro, sono stanco.
Pensare che era stato tutto perfetto fino a quattro chilometri prima, l’euforia della partenza, i colori della gente, le gambe brillanti, i matti del 19°km, tutto perfetto. Bisognerà tornare a lavorare sodo, Valencia non è poi così lontana… meno male che ci sono i Ramarri.


lunedì 27 maggio 2013

Sconfitta

Sarà il forte senso di delusione, sarà che mi sono sentito deriso, sarà che avevo poco tempo, ma fatto sta che è la prima volta dal mio rientro che le gambe, ma soprattutto il cuore, si rifiutano di collaborare. Non riesco addirittura a chiudere in doppia cifra. Arrivo al solito slargo sconfitto, mani sui fianchi, prenderei a calci qualcuno. La testa è altrove. Le uniche note colorate sono il sole che scotta, il caldo sulla pelle e la polvere nell'aria.
Domani niente corsa, domani c'è il torneo, partita fiacca... palestra!?!? perché no...
Mi sento sotto la cresta dell'onda.

sabato 25 maggio 2013

...E TU CORRI

a un certo punto non parli più, ascolti le tue gambe e le senti mulinare al vento in giri regolari, ogni tanto una "molla", ma subito arriva l'altra a sorreggerla... e tu corri...

sabato 16 febbraio 2013

L'infortunio


Ieri sera mi sentivo bene, fiducioso, ho preparato tutto con cura, "l'uniforme" ha dormito in cucina come spesso accade quando devo andare a correre. Mi sentivo vincente, sapevo che non avrei sentito dolore. La sveglia alle ore 07.10, rimango a letto un po' per pigrizia, ma soprattutto per paura, le sensazioni ottimistiche della sera prima non sono così tangibili ora, mi preparo con un'insolita calma, il caffè della moka, le chiavi della macchina e via... destinazione paradiso. Arrivo da lei e sono veramente emozionato, mi sento come un'amante traditore, sento di averla trascurata, la salitella nasconde il suo verde lussureggiante e quando arrivi in cima... il viale, la chiesa in lontananza, il freddo sulla pelle, i cani a zonzo... mi tolgono il fiato. Mi è mancato tutto questo benessere. Mi stiro un po' le gambe, cerco di rimandare il momento della verità, ma poi alla fine non mi rimane altro che fare un passo e poi un altro ancora e infine... correre. Subito la mente vola lì, a questo maledetto ginocchio, i primi passi sono quasi in stile manichino e nonostante questo, il dolore c'è, è lì, cova sotto la cenere. Provo a non mollare subito, so che dovrei, ma non voglio... non voglio perdere. Man mano che corro le cose migliorano, in salita il dolore non esiste, in discesa torna a farsi sentire. Vado piano, testa bassa ad ascoltare, decido di fare poca strada e mi godo un bel giro turistico, San Pancrazio, il laghetto, i giardini della villa. Ritorno all'uscita e tutto sommato il pensiero che più mi gira in testa è che non sono migliorato, ma non sono neanche peggiorato già questo sarebbe una bella consolazione. Prendo la macchina e mi dirigo verso casa, soddisfatto e fiducioso, è andata bene... o almeno era quello che credevo. A casa dopo la doccia faccio un po' di stretching, metto il ghiaccio per scaramanzia. Il fuoco si sta scaldando, la cenere non lo trattiene più, il dolore torna prepotente e beffardo, ogni ora che passa è peggio... ancora una volta ha vinto lui. Dentro di me solo delusione, mi sento vuoto, spento e soprattutto sconfitto. Vincerò mai questa mia battaglia?? Comincio a credere di no.

domenica 20 gennaio 2013

“DESAPARECIDO”

Poeta, patriota e podista... sicuramente si, innanzitutto un ragazzo di 25 anni, scomparso troppo presto per volontà di altri. Pensare che la Corsa è libertà e proprio per quella Miguel ha cessato di esistere. La Corsa di Miguel, la mia prima Corsa di Miguel, ieri mi ha dato tante sensazioni, più o meno positive, l’unica che non mi è arrivata è stata quella di ricordare Miguel, forse per colpa mia…. forse no. "Per te che sai di freddo, di calore, di trionfi e di sconfitte, che no, non lo sono. Per te che hai il corpo sano, l’anima larga e il cuore grande, per te che hai molti amici, molti nonni, l’allegria adulta, il sorriso dei bambini. Per te, atleta, che traversasti paesini e città, unendo stati nel tuo andare. Per te, atleta, che disprezzi la guerra e sogni la pace".
“Devo fare la pipì” una scintilla brilla come quella della candela che fa sprigionare la fiamma all’interno del motore di un auto, il cervello stride, ma si accende, “devo fare la pipì” ripete per la seconda volta mio figlio a circa dieci centimetri dal mio viso, meccanicamente esco dal letto e lo accompagno fino in bagno, lui è più addormentato di me, ma esegue alla lettera il compito insegnatogli. Lo riporto a letto coprendolo fino all’orecchie così che quello scudo lo difenda dalla paura del buio. Un bicchiere d’acqua e l’orologio che segna le 04:00, il sonno è già andato, oggi c’è la gara e nonostante il mio ginocchio sia acciaccato ho deciso di correre lo stesso, è dalla We Run Rome che non metto le scarpe, troppo tempo, sono in astinenza da endorfine. Caffè caldo a scuotermi, ma è veramente presto, accendo Tv e Pc e le ore che mi dividono dalla corsa passano veloci e in lieta compagnia, emozioni che mi contrastano dentro. Arrivano le 08:00, è ora di prepararsi, metto su un altro caffè e preparo la solita fetta di pane con il miele, nel frattempo mi vesto da Super Ramarro, calzoncini verdi e canottiera con il mio nome dietro “Carlo”, ma soprattutto calzo le mie Asics, le scarpe sono delle vere e proprie reliquie adorate e glorificate da ogni runner. Piove, quella leggera pioggia che serve più a fare compagnia che a dare fastidio, di freddo neanche l’ombra. Il ginocchio c’è, nel senso che mi fa sentire che sotto la cenere è ancora presente una piccola fiamma di dolore. Me ne frego. Oggi corro. Borsone sulle spalle volo a prendere la macchina, sono più teso delle altre volte, spero solo di non pentirmi e di non peggiorare la situazione, ma ho voglia, voglia di stare con gli altri, di sentire la fatica e l’euforia della gente. Parcheggio a 2 km dalla base degli Amatori, ne approfitto per fare un po’ di riscaldamento, nonostante la levataccia sono riuscito a fare tardi. Il Paolo Rosi è in condizioni tristi, il tempo della vergogna è addirittura passato, siamo ben oltre, forse costerebbe meno raderlo al suolo e ricostruirlo piuttosto che ristrutturarlo. Lo stand dei Ramarri è incastrato tra altri gazebo, ma il nostro ha qualcosa in più, abbiamo le migliori tifose di tutto il movimento. Un saluto con gli altri, un come va, un come non va, il Presidente in versione Dea Kali che stringe cento mani, la confusione generale, migliaia di colori e quattro dita di fango in terra, ma principalmente il ritiro del pacco gara con annesso pettorale. Oggi mi tocca il 1661, mi piace!! La zona di partenza oggi è caotica, molte divisioni, oltre i top runners vengono divisi anche i pettorali in base alla numerazione, poi ci sono i senza pettorale, tutti convogliati in un’unica direzione. Prima partenza, seconda partenza e terza partenza, tocca a me. Salpiamo in direzione San Pietro con la Banda a salutarci all’uscita del porto. E’ una gara veloce, non lo sarà per me, ho un ginocchio solo. Nell'aria la solita atmosfera gioiosa, la pioggia è costante, un po’ svogliata. I romani per tradizione con l’acqua e di domenica non amano andare in giro, pregustano il pranzo domenicale con annesse “pastarelle”. Nella confusione scambio un saluto con Roberta, urlandole un “ciao” a causa delle cuffiette che non mi fanno sentire il volume della mia voce. I primi 5 km mi colgono di sorpresa, riesco a rimanere sotto i 5’ a km, nonostante il dolore al ginocchio si faccia sentire, sulla strada del ritorno però entro inesorabilmente in crisi, ho pochi chilometri nelle gambe e il conto è salato, vado a corto di fiato e accanto a me sfilano tutti in un moto lento e costante, non riesco a tenere la ruota a nessuno, mi sposto su di un lato per non intralciare il passo degli altri. La salitella di Ponte Mollo sembra una scalata nordica, sono in completa balia della gara e vado avanti per inerzia, l’euforia della gara lascia il posto ad una frustrazione impietosa, non funziona niente, gambe molli, testa altrove e polmoni assenti. Arriva comunque il traguardo, alla mia destra un capannello di persone a soccorrere qualcuno che si è sentito male, la voce dello speaker a spronare la folla a farsi più in là, tanta confusione. E’ andata male, la gara mi ha visto concludere in 53’ e spicci, ho perso 7 minuti rispetto al mio miglior tempo, e poi l’infortunio ritornato più forte di prima e questo mi fa capire che ci saranno altre settimane di stop. Con la morte nel cuore dico addio alla Maratona di Roma, non ho il numero di chilometri giusti sulle gambe per farcela e neanche il tempo per farli. Peccato sarà per la prossima. Ritorno mestamente al gazebo degli Amatori Villa Pamphili, sconfitto e depresso, questo sport entra nell'anima, ti fa gioire e ogni tanto ti bastona. Meno male che alla base ci sono i dolci delle signore... un vero toccasana. Ora è tempo di guarire, di fermarsi per poi ripartire. Gli altri continueranno a correre. 
Buona corsa, soprattutto a te Miguel.

A.S.D. VILLA PAMPHILI


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