Poeta, patriota e
podista... sicuramente si, innanzitutto un ragazzo di 25 anni,
scomparso troppo presto per volontà di altri. Pensare che la Corsa è
libertà e proprio per quella Miguel ha cessato di esistere. La Corsa
di Miguel, la mia prima
Corsa di Miguel, ieri mi ha dato tante
sensazioni, più o meno positive, l’unica che non mi è arrivata è
stata quella di ricordare Miguel, forse per colpa mia…. forse no.
"Per te che sai di freddo, di calore, di trionfi e di sconfitte,
che no, non lo sono. Per te che hai il corpo sano, l’anima larga e
il cuore grande, per te che hai molti amici, molti nonni, l’allegria
adulta, il sorriso dei bambini. Per te, atleta, che traversasti
paesini e città, unendo stati nel tuo andare. Per te, atleta, che
disprezzi la guerra e sogni la pace".
“Devo fare la pipì”
una scintilla brilla come quella della candela che fa sprigionare la
fiamma all’interno del motore di un auto, il cervello stride, ma si
accende, “devo fare la pipì” ripete per la seconda volta mio
figlio a circa dieci centimetri dal mio viso, meccanicamente esco dal
letto e lo accompagno fino in bagno, lui è più addormentato di me,
ma esegue alla lettera il compito insegnatogli. Lo riporto a letto
coprendolo fino all’orecchie così che quello scudo lo difenda
dalla paura del buio. Un bicchiere d’acqua e l’orologio che segna
le 04:00, il sonno è già andato, oggi c’è la gara e nonostante
il mio ginocchio sia acciaccato ho deciso di correre lo stesso, è
dalla We Run Rome che non metto le scarpe, troppo tempo, sono in
astinenza da endorfine. Caffè caldo a scuotermi, ma è veramente
presto, accendo Tv e Pc e le ore che mi dividono dalla corsa passano
veloci e in lieta compagnia, emozioni che mi contrastano dentro.
Arrivano le 08:00, è ora di prepararsi, metto su un altro caffè e
preparo la solita fetta di pane con il miele, nel frattempo mi vesto
da Super Ramarro, calzoncini verdi e canottiera con il mio nome
dietro “Carlo”, ma soprattutto calzo le mie Asics, le scarpe sono
delle vere e proprie reliquie adorate e glorificate da ogni runner.
Piove, quella leggera pioggia che serve più a fare compagnia che a
dare fastidio, di freddo neanche l’ombra. Il ginocchio c’è, nel
senso che mi fa sentire che sotto la cenere è ancora presente una
piccola fiamma di dolore. Me ne frego. Oggi corro. Borsone sulle
spalle volo a prendere la macchina, sono più teso delle altre volte,
spero solo di non pentirmi e di non peggiorare la situazione, ma ho
voglia, voglia di stare con gli altri, di sentire la fatica e
l’euforia della gente. Parcheggio a 2 km dalla base degli Amatori,
ne approfitto per fare un po’ di riscaldamento, nonostante la
levataccia sono riuscito a fare tardi. Il Paolo Rosi è in condizioni
tristi, il tempo della vergogna è addirittura passato, siamo ben
oltre, forse costerebbe meno raderlo al suolo e ricostruirlo
piuttosto che ristrutturarlo. Lo stand dei Ramarri è incastrato tra
altri gazebo, ma il nostro ha qualcosa in più, abbiamo le migliori
tifose di tutto il movimento. Un saluto con gli altri, un come va, un
come non va, il Presidente in versione Dea Kali che stringe cento
mani, la confusione generale, migliaia di colori e quattro dita di
fango in terra, ma principalmente il ritiro del pacco gara con
annesso pettorale. Oggi mi tocca il 1661, mi piace!! La zona di
partenza oggi è caotica, molte divisioni, oltre i top runners
vengono divisi anche i pettorali in base alla numerazione, poi ci
sono i senza pettorale, tutti convogliati in un’unica direzione.
Prima partenza, seconda partenza e terza partenza, tocca a me.
Salpiamo in direzione San Pietro con la Banda a salutarci all’uscita
del porto. E’ una gara veloce, non lo sarà per me, ho un ginocchio
solo. Nell'aria la solita atmosfera gioiosa, la pioggia è
costante, un po’ svogliata. I romani per tradizione con l’acqua e
di domenica non amano andare in giro, pregustano il pranzo domenicale
con annesse “pastarelle”. Nella confusione scambio un saluto con
Roberta, urlandole un “ciao” a causa delle cuffiette che non mi
fanno sentire il volume della mia voce. I primi 5 km mi colgono di
sorpresa, riesco a rimanere sotto i 5’ a km, nonostante il dolore
al ginocchio si faccia sentire, sulla strada del ritorno però entro
inesorabilmente in crisi, ho pochi chilometri nelle gambe e il conto
è salato, vado a corto di fiato e accanto a me sfilano tutti in un
moto lento e costante, non riesco a tenere la ruota a nessuno, mi
sposto su di un lato per non intralciare il passo degli altri. La
salitella di Ponte Mollo sembra una scalata nordica, sono in completa
balia della gara e vado avanti per inerzia, l’euforia della gara
lascia il posto ad una frustrazione impietosa, non funziona niente,
gambe molli, testa altrove e polmoni assenti. Arriva comunque il
traguardo, alla mia destra un capannello di persone a soccorrere
qualcuno che si è sentito male, la voce dello speaker a spronare la
folla a farsi più in là, tanta confusione. E’ andata male, la
gara mi ha visto concludere in 53’ e spicci, ho perso 7 minuti
rispetto al mio miglior tempo, e poi l’infortunio ritornato più
forte di prima e questo mi fa capire che ci saranno altre settimane
di stop. Con la morte nel cuore dico addio alla Maratona di Roma, non
ho il numero di chilometri giusti sulle gambe per farcela e neanche
il tempo per farli. Peccato sarà per la prossima. Ritorno mestamente
al gazebo degli Amatori Villa Pamphili, sconfitto e depresso, questo
sport entra nell'anima, ti fa gioire e ogni tanto ti bastona. Meno
male che alla base ci sono i dolci delle signore... un vero
toccasana. Ora è tempo di guarire, di fermarsi per poi ripartire.
Gli altri continueranno a correre.
Buona corsa, soprattutto a te
Miguel.
|
A.S.D. VILLA PAMPHILI |