GDL, io e Checco |
…svolto
a sinistra lasciando alle mie spalle una rassicurante lingua
d’asfalto. Davanti a me c’è solo terra, sole e polvere, i miei
occhi guardano quello che la mente registra come qualcosa di
doloroso, tutto sembrava andare per il meglio, ma poi... poi il
crollo, lento e inesorabile. Il bianco… il ricordo più forte è il
bianco di un sentiero di pineta, i sassi come lame sotto i piedi, il
terreno duro da abbandonare ad ogni passo, come volesse trattenerti a
sé. Le gambe che diventano più rigide e le ginocchia che stentano a
piegarsi, il desiderio di vedere dietro ogni curva un traguardo che
sai però essere ancora troppo lontano. Non sapere che carte giocare,
sei in mezzo a tanta gente che fatica come te, ma in realtà sei solo
e ogni persona che ti passa accanto ti vede scivolare via… sembra
davvero di correre in mezzo al mare. Ti domandi com’è possibile,
fino a pochi istanti fa eri tu a metterti loro alle spalle e
poi?!?.... poi il crollo, lento e inesorabile. Il sudore scivola
dentro gli occhi bruciandoli, cerchi di asciugarti la fronte, ma ti
accorgi che ad ogni passaggio della mano è più bagnata di prima,
l’ombra è l’unica amica che ti tiene compagnia e ti corre avanti
spinta dalla luce del sole alle tue spalle, le labbra assetate si
seccano ai lati e continui a leccarti la bocca in cerca di
refrigerio. In lontananza vedi l’ultimo ristoro proprio all’inizio
di un viale alberato, ogni mutamento del paesaggio è un sollievo,
più per l’anima che per il corpo, ti fermi qualche istante per
bere avido di sali minerali e acqua, poi però in testa rimbombano le
parole di Stefano e Francesco “non ti fermare o non riparti più”
allora subito metti un passo avanti all’altro e riprendi questa
lenta processione verso l’arrivo, ogni tanto pensi di mollare, è
un pensiero che scivola via... piuttosto crepo. Vedi il cartello
degli ultimi 2 km e capisci che in qualche modo arriverai, qualcuno
che si sente male al bordo della strada, vorresti aiutarlo, ma ne hai
poca per te di forza e non puoi sprecarla per gli altri, tiri dritto.
L’ingresso
allo stadio, non capisci bene se stai correndo o camminando, il
ricordo del nome di Annalisa urlato dallo speaker che ne annuncia la
vittoria tra le donne, l’arrivo, anonimo e sommesso, ma mai così
tanto agognato. Per la prima volta ho conosciuto il lato oscuro della
corsa, la fatica e il dolore li avevo già incontrati, la sofferenza
no! Guardo l’orologio per la milionesima volta negli ultimi quattro
chilometri, 2 ore e 47 minuti, mi verrebbe da pensare che tutto
sommato per me potrebbe andare bene, invece no, ho l’amaro in
bocca, sono deluso, in cuor mio oggi ho perso. Ritrovo i miei amici e
scambio quattro chiacchiere con loro, il sorriso torna subito e pure
la baldanza di poter dire che la prossima volta andrà meglio, faccio
tesoro dei consigli e mangio qualcosa al ristoro, sono stanco.
Pensare
che era stato tutto perfetto fino a quattro chilometri prima,
l’euforia della partenza, i colori della gente, le gambe brillanti,
i matti del 19°km, tutto perfetto. Bisognerà tornare a lavorare
sodo, Valencia non è poi così lontana… meno male che ci sono i
Ramarri.
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