Nonostante
la sveglia (non voluta) alle 03.30, riesco ad arrivare stretto con i tempi per
l’inizio della gara. Mi ritrovo a dieci minuti dal fischio di partenza, ancora
con la muta da mettere e senza una lacrima di vasellina nei paraggi. L’unica
cosa che riesco a fare prima dello start è bagnarmi i piedi.
Il
cielo è nuvoloso, ma qui e là fa capolino un timido sole. L’asfalto non è poi
così bagnato e la frazione in bici potrebbe essere divertente. Il vero problema
è la temperatura dell’acqua… gelata.
Il
grigio abbraccia il panorama, dal cielo al lago, tutto si riflette di questo
color cemento.
Saluto
Daniela, emozionata per il suo esordio, e mi dirigo in zona partenza per la
spunta.
Il
gruppo della Podistica è decisamente numeroso, per molti è il battesimo
assoluto e per la maggior parte di noi è la prima gara della stagione. La
nostra squadra sta crescendo parecchio, Gigi e Bruna sono impagabili per il
lavoro che svolgono. Il mio c’è il pettorale 153. Non mi piace.
Un’ora
prima della gara mi “sparo” il solito bibitone dell’Herbalife. Ormai è un rito,
ho sempre paura di avere fame durante la gara.
Con
qualche minuto di ritardo il giudice di gara da il via alle ostilità.
A
differenza del mare il lago ti permette pochi passi, si comincia a “mulinare”
le braccia quasi da subito e l’impatto con la temperatura dell’acqua è devastante.
Milioni
di spilli piantati nel corpo. Nel nuoto si deve gestire la respirazione, e
farlo in un contesto dove ti manca il
fiato per il “trauma” da gelo è davvero difficile. In parecchi non termineranno
la frazione a nuoto per il freddo e nei primi cento metri ho rischiato
fortemente di essere uno di loro. Ho dovuto concentrarmi parecchio per non
lasciarmi prendere dal panico. Dopo la prima boa ho cominciato a nuotare, ma la
partenza dalle retrovie mi ha condizionato parecchio per via del traffico
davanti a me. Dopo la seconda boa il freddo era sparito.
Riemergo
dalle acque con un modesto 17’ e rotti, non è un granché e mi s’inceppa pure la
chiusura lampo della muta. Entro in zona cambio ancora completamente vestito. Perdo
qualche minuto a spogliarmi e a decidere se portarmi o no la mantellina (Strong
perdonami!!). A giudicare dalle bici sono nella pancia del gruppo. Quando esco
dalla zona cambio il freddo si rifà subito sentire. Un freddo diverso, più
accettabile, ma comunque fastidioso. Sono solo insieme a un ragazzo della
Forhans. Niente gruppetto a tirare. Facciamo un po’ di gioco di squadra, ma l’andatura
è decisamente bassa… 35 km/h.
Usciamo
dal centro abitato di Trevignano in direzione Bracciano. Con stupore scopro che
la strada non è chiusa al traffico. I venti chilometri in bici vorrei coprirli
a tutta, si tratta di uno sprint e credo che si possa lasciare poco spazio alla
pedalata agile. Parto forte e mi metto a tirare, fino alla salita di Vicarello
dove mi pianto come una quercia. Metto su un vergognoso 34-26 e vado su come fossi
sulle Dolomiti. Scavallo e la fortuna vuole che un gruppetto di altri triatleti
mi passi a fianco, mi metto a ruota e in discesa recuperò un po’, integro e
rimango coperto, fino a quando davanti a me vedo macchine ferme e un ragazzo
della Podistica a terra.
E’ vero che si tratta di una gara, ma è pur
sempre un gioco per me e quindi senza pensarci un attimo mi fermo per vedere se
sta bene e se ha bisogno di aiuto. E’ pieno di abrasioni e sangue, ma la prima
cosa che mi dice è “vedo se riesco a riprendere” (kamikaze), gli dico di essere
prudente e di aspettare un attimo e vedere se tutto è ok.
Risalgo in bici e mi metto a ruota di altri
atleti che nel frattempo mi passano di fianco. Riprendo a pedalare e l’andatura
si fa buona, nulla di eccezionale, ma siamo sui 38 km/h. Giro di boa e si ritorna
indietro verso Trevignano. Una ragazza della Forhans si mette avanti a tirare, ha due polpacci
che sembrano di granito. Il sole comincia a splendere e l’aria si scalda.
Ripercorriamo la salita di Vicarello e questa volta va decisamente meglio,
riesco a lasciarmi dietro anche qualche “collega”. In vista della zona cambio
sfilo le scarpe e mi appresto a scendere da cavallo. La transizione questa
volta è più veloce, per la prima volta in vita mia evito di mettere i calzini (solo
per il fatto di averli dimenticati ndr), riparto e la prima cosa che noto è la
temperatura primaverile.
Le gambe sono decisamente legnose, e la cosa
mi coglie di sorpresa. Nel circuito da due chilometri vedo sfilare in senso opposto
molti ragazzi del Pandateam e molti compagni della Podistica. Capisco di essere
dietro, ma non riesco a cambiare passo, mi pianto sui 4’25 e da lì non ne esco.
E’ come se avessi una pallina da tennis nel diaframma. La corsa in questo
periodo è un po’ difficoltosa e quindi mi accontento di come va. Il ginocchio
durante tutta la gara rimane silente e questo è un fatto positivo.
Riesco solo ad allungare nella volata
finale e a chiudere lo Sprint di Trevignano in 1h10. Non è un gran tempo, ma mi
accontento. Capisco di essere ancora molto indietro rispetto al grosso del gruppo.
Trovo una bella panchina e mi metto seduto ad aspettare la fine della gara. Il
meteo, che doveva essere funesto, ci regala un caldo sole.
Ritrovo Daniela e le faccio i complimenti
per la sua “prima volta”, dopo di che riprendo la strada di casa.
Il triathlon mi piace, anche se ancora vivo
quel momento del “chi me lo fa fare” prima di ogni gara e “non vedo l’ora di
farne un’altra” subito dopo. Con il passare del tempo cresce l’amaro in bocca
per una prestazione poco brillante, ma poi rivedendo le immagini della giornata
penso che ne sia davvero valsa la pena.
Questa è stata l’ultima gara della mia
Olympia, da domani (oggi ndr) passerà le consegne a una nuova bici… sarò scemo, ma mi mette un po’ di tristezza.
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