Sveglia alle 06:00. Metto su il caffè e penso che la cosa più
difficile della giornata sarà tirare fuori dal letto Cesare e Isabella. Il sonno è realmente
un buon misuratore dell’età, più s’invecchia... meno si dorme e io ormai da tempo
non metto più la sveglia… ma sono il classico esempio dell’eccezione che
conferma la regola. Non mi sento vecchio neanche un po’, anche se ogni tanto mi
piace dirlo.
I bagagli sono pronti
dalla sera prima. Riusciamo a partire alle 08:00 in punto.
Il viaggio verso
Pescara corre veloce, un paio d’ore di autostrada cantando a squarciagola
musiche della Disney con i piccoli… il duetto con Bella in “Il mondo è mio” di
Aladdin meriterebbe palcoscenici importanti. Il cielo è pulito e nonostante il
sole alto la temperatura non è altissima.
Come consigliatomi da
Strong, ci dirigiamo subito verso piazza I° maggio, per la registrazione alla
gara e per il ritiro del pacco gara. Uno zainetto striminzito con la scritta “Ironman
70.3 Italy - Pescara” che reputo fighissimo e che, ahimè, mio figlio Cesare mi ha già fregato!!!
Ritiro le tre bags e
facciamo qualche giro tra gli stand di piazza “Salotto” e alla fine decidiamo
di andare in albergo per un po’ di relax.
Dopo il pranzo e la
rifinitura in bici pre 70.3 (come da tabella), riprendo la macchina e vado da solo in zona Cambio. Il cuore del
triathlon, di qualunque distanza esso sia.Mai visti tanti triatleti tutti insieme.
Preparo la bici
accuratamente. Nella borsa anteriore le barrette, già tagliate a metà (da
consumarsi ogni 25 minuti), nella borsetta posteriore l’officina da campo con
tutto quello che potrebbe servirmi in caso di guasto. Nastro carta per fermare
le bombolette d’aria compressa e altro. Blue bag e red bag sistemate con il
materiale da gara bike e run. In realtà la sacca per il ciclismo è quasi vuota,
preferisco lasciare le scarpe attaccate alla bici e il casco con gli occhiali
sul manubrio. Decido poi di saltare il briefing in italiano e di tornare a riprendere
il resto della famiglia per una passeggiata in centro. Il sabato finisce in un
delizioso ristorantino di pesce dove io consumerò un tristissimo piatto di pasta al
sugo.
Il giorno della gara
per me comincia molto presto. Alle 03:00 urla provenienti dalla strada, mi svegliano. I tifosi pescaresi sono i festa per la
promozione in serie A della loro squadra del cuore... e io ne pago le conseguenze. In barba
all’orario trombe e clacson come fossero le 11 di mattina. Quando il silenzio
torna sovrano il mio sonno è ormai lontano e la tensione per la gara mi tiene
gli occhi spalancati. Non faccio altro che girarmi e rigirarmi nel letto. Le
gambe sono tese e sento dei veri e propri dolori lungo tutti gli arti.
Il cielo fuori è
nuvoloso, ma almeno il mare è un tavola blu.
Dopo un abbondante
colazione, insieme al resto della truppa, ritorno in zona cambio per posare le
borracce con gli integratori dentro sulla bici. Do un’occhiata in giro e vedo
questa distesa di teli bianchi in plastica che servono a riparare le bici. Ho
un po’ di nausea e me la sto facendo sotto. Quella perenne sensazione di dover
andare in bagno non mi molla. Cerco di stare calmo e recito nella mente sempre
la stessa frase… ”è solo strizza”. Ormai mancano poche ore alla partenza e dal
cielo una pioggia battente costringe tutti a cercare riparo dentro i chioschi
bar o sotto gli ombrelloni degli stabilimenti balneari. Sembriamo pronti ad un
invasione via mare.
Trovo coraggio
nell’abbraccio della mia famiglia. Sono con me. Moira mi dice “Devi arrivare, a
tutto c’è rimedio”… questa frase rumoreggerà nella mia testa durante tutte le
sei ore di gara.
Dopo aver infilato la
muta mi incontro con Antonio, un ragazzo della mia squadra, la Podistica e
Solidarietà (lungo il percorso ne incontrerò qualcun altro), con lui rimarremo
a farci forza fino all’ingresso in acqua. Siamo tesi e si vede. Gli dico di
stare calmo, in fondo anche se il mare non è calmo sono sempre un chilometro e novecento metri.
Decido di entrare
nella griglia 30-34 minuti e convinco Antonio a venirmi dietro. Credo di
riuscire a chiudere la distanza in questa forbice di tempo. Il nuoto è quello
che mi lascia al momento più sicurezza, non per le mie prestazioni, ma per la
solidità con cui riesco a stare sul "pezzo".
Dal riscaldamento in
acqua saranno passati circa venti minuti e il mare, come nel migliore dei film,
cambia radicalmente umore. S’ingrossa, comincia ad incresparsi e sui
frangiflutti si abbattono onde sempre più grandi.
Alla partenza dei Pro
il mare è già mosso, con moto ondoso in aumento.
La fila davanti a me
scorre veloce, si parte cinque per volta e io mi scopro a non avere più paura,
finalmente si parte. La ragazza in maglietta verde dell'organizzazione davanti a me libera il passaggio e mi lancio
verso il mare.
Davanti tante cuffie rosse
e qualche calotta grigia degli iscritti al Triclub (competizione a squadre per il campionato europeo). Le prime bracciate sono
abbastanza facili, ma nella strozzatura degli scogli mi trovo davanti una serie
di muri d’acqua. Rimango immobile e comincio a galleggiare a rana facendomi
dondolare dalle onde altissime. Sono una dietro l’altra, senza soluzione di
continuità. Mai nuotato in certe condizioni. La prima boa ancora è lontanissima
e capisco da subito che sarà dura. Tornare indietro mai. Cerco di non abbattermi e di seguire il
resto degli atleti, ma la marea ci nasconde tra le onde. Ho difficoltà
anche a vedere le boe gialle, ma vado comunque avanti, non c’è altro da fare. Ogni tanto devo
fermarmi e guardarmi intorno per capire dove sono e dove devo andare. E’ pura
fatica. Sono solo in mezzo al mare, a circa dieci metri da me, una cuffia rosa
e due rosse.
Una moto d’acqua mi
passa a cinque metri e gli urlo “dove cazzo dobbiamo andare??!”, nessuna risposta...
alla fine riesco ad arrivare verso la fine e a inforcare le due boe che portano
all’uscita. In quel momento la confusione è totale. Siamo in un gruppo di
sette, otto triatleti e volano botte da orbi. Prendo un calcio in bocca e alla
fine comincio a darle pure io. Una volta sulla spiaggia un ragazzo in maglietta
blu ci dice che la frazione nuoto è stata interrotta dalla Capitaneria di Porto
e che si passa ad un duathlon. Guardo i garmin e lappo… 39 minuti, buono!
Il primo pensiero è
stato negativo, ma poi mi sono reso conto che i nuotatori meno esperti si
sarebbero trovati davvero in difficoltà e che non c’erano più le minime
condizioni di sicurezza in mare.
Non aver nuotato mi
avrebbe lasciato un grandissimo senso di vuoto. Senza nuoto non è un Ironman…
non è neanche Triathlon.
Mestamente e senza
troppa fretta mi porto in T1. Ripeteranno il rolling start per la bici. Dopo aver tolto la
muta e infilato il casco mi metto in coda con la mia Wilier Zero 9 al fianco,
in attesa di cominciare la seconda frazione. Sembra di stare in fila alla cassa
del supermercato. Davanti ho centinaia di persone. Dopo oltre 30 minuti di
transizione riesco a cominciare a pedalare. Sento chiaramente che l’adrenalina
è scesa a livelli bassissimi. Mi “sparo” il primo gel e sono a 35 km/h in uscita
da Pescara. Al fianco mi passano tanti ciclisti a velocità sconosciute. I primi
15 km sono abbastanza “puliti”, la regola del NO DRAFT viene quasi rispettata, dopo di che la gara diventa una sorta di Granfondo, con pochi a
tirare e tanti in coda a “tutelare” le gambe.
Quando
ho deciso di fare un Ironman ero consapevole delle sue regole e ho deciso di
rispettarle, ho evitato accuratamente di stare in scia senza voltarmi mai
indietro per guardare se qualcuno “succhiava”. Vedere la faccia disgustata di
tanti atleti venuti dall’estero, mi ha messo in imbarazzo… “i soliti italiani”.
Sul piano e in
discesa riesco a tenere la media prestabilita, ma in salita mi accorgo di
essere molto indietro agli altri, mi pianto come un ulivo. Sorpasso, ma vengo puntualmente ripassato. La media sale
tantissimo e gli sforzi fatti in discesa e pianura non riescono a compensare a
pieno la media finale.
Mangio le barrette e
bevo i Sali. Sento Strong nella testa. Penso ai miei biscotti Pavesini e rido
al pensiero di quanto ancora ci sia da fare nella bici. Sulla statale finale
sembra quasi fatta, ma rimango concentrato, non devo mollare con la testa, mi
metto accucciato e pedalo come non ci fosse un domani e per non pensare alla
fatica comincio un esercizio già noto… il Soulsaver. Sono inaspettatamente sereno. A un chilometro dalla zona
cambio sfilo le scarpe e vengo colto dai crampi, riesco a gestire bene la
situazione e a scendere dalla sella in tempi brevi. Chiudo in 3h10’ la frazione
bike. Tempo alto, ma non importa, sono andato molto vicino al mio obiettivo
delle tre ore, sono soddisfatto e neanche troppo “bollito”. Esco dalla T2 in
poco più di tre minuti, prendendomela anche comoda.
Arrivo finalmente ad
affrontare il mio grande spauracchio di questi mesi. La corsa. Giro il
mio pettorale 1126 davanti e penso “riuscirò a correre per 21km??! Certo che si!!”. #pensopositivo
Nei primi due
chilometri sto attento a non esagerare, lascio il tempo alle mie gambe di
riabituarsi a camminare dopo le ore in bici. Entro nel circuito run da sei chilometri in
mezzo a un fiume di gente, tutti non curanti della pioggia che scende giù copiosa.
Qualcuno imbocca già il sentiero dell’arrivo e io sono solo all’inizio. Non
importa. Ci sono, conta solo questo. Davanti alla postazione di rifornimento Red
Bull vedo Moira con i piccoli. Il cuore mi si apre e in quel momento penso che
non mi fermerò mai, che devo arrivare assolutamente al traguardo per far vedere
ai miei cuccioli quanto è bravo il loro papà.
Il primo giro mi
sembra interminabile, ma sono cosciente e gestisco bene l’andatura. Ogni tanto
scendo sotto i 5 a km e sono costretto a “riprendermi”. Non devo esagerare. Rimango alto con il
passo per evitare brutte sorprese andando avanti. A ogni ristoro mi fermo a
camminare per riuscire a bere (non sono capace a farlo in corsa), e poi riparto
senza grandi difficoltà. Incrocio un paio di volte Strong che m’incoraggia a
non mollare. Il secondo giro è quello
più complicato, il pensiero d’un tratto vola a mio padre e un morso alla gola
mi prende improvviso, devo fare uno sforzo per non pensarci altrimenti rischio
di scoppiare in lacrime in mezzo alla strada. Ci sono ancora 10 km tra me e il
traguardo e non posso perdere la concentrazione. Per terra le pozzanghere
diventano sempre più grandi e le scarpe s’impregnano d’acqua. Sotto i piedi sento le prime vesciche. Gli atleti
intorno diminuiscono e anche il pubblico comincia ad arrendersi alle
intemperie. Ogni tanto mi capita di vedere Danielina e mi accorgo che ha un passo molto simile al mio. Strepitoso quello che è riuscita a fare.
Inizio l’ultimo giro e Isabella mi allunga l’ultimo gel. In quel momento penso “ce l’ho fatta!”. Non sono stanco e gli ultimi sei chilometri non saranno un problema. Sono fiducioso, non sento un'eccessiva fatica e sono presente a me stesso. Affianco un ragazzo avvolto dalla bandiera rumena e percorriamo insieme gli ultimi metri. Entro nel Red Carpet riuscendo anche ad accennare un mezzo sprint. Passo sotto l’arco dei Finisher in 6h12’ e qualche secondo (il tempo reale è un altro, ma credo che abbia davvero poca importanza).
Inizio l’ultimo giro e Isabella mi allunga l’ultimo gel. In quel momento penso “ce l’ho fatta!”. Non sono stanco e gli ultimi sei chilometri non saranno un problema. Sono fiducioso, non sento un'eccessiva fatica e sono presente a me stesso. Affianco un ragazzo avvolto dalla bandiera rumena e percorriamo insieme gli ultimi metri. Entro nel Red Carpet riuscendo anche ad accennare un mezzo sprint. Passo sotto l’arco dei Finisher in 6h12’ e qualche secondo (il tempo reale è un altro, ma credo che abbia davvero poca importanza).
“Non sono neanche
troppo stanco”, ecco cosa ho pensato nel piegarmi sulle ginocchia. Credo che sarei arrivato avvolto dalla fatica e dal dolore e invece mi sono accorto che l'unica cosa che sentivo era di essere veramente felice.
Tutta questa storia è
stata faticosa, dal primo allenamento di Stefano da 30’ easy, alla stesura di
questo racconto. Ne è valsa però davvero la pena. E’ stato un cammino lungo e pieno di soddisfazioni, ma
soprattutto è stato bello riuscire, ottenere quello che per tanti mesi mi ero prefissato. Il
merito di questo mio successo è in gran parte del mio coach e dei suoi
allenamenti, ma non solo. Per il resto credo di averci messo tanto anche del mio. Mi
sono divertito un mondo e non vedo l’ora di ripetermi, senza far passare troppo
tempo. Ora finalmente, dopo questo Ironman 70.3, credo di poter dire che anche io sono un
Triatleta.